Sono ripresi i mal di pancia di Zlatan Ibrahimovic, complici i trent'anni e il sospetto che nemmeno questo sarà l'anno buono per la Champions League. Sullo sfondo varie situazioni: a) il dispiacere per i sospetti del Milan società (non ufficiali, ma trapelati attraverso i media) circa i suoi tempi di recupero dal recente infortunio; b) il collocamento del suo procuratore Raiola nella lista dei cattivi, dopo il fallimento dell'operazione Mister X-Hamsik; c) la necessità di firmare l'ultimo grande contratto della carriera (che non dovrebbe durare più di quattro anni, stando a gente che gli è vicina) finché è in una posizione di forza, possibilmente in quella Premier League che ha sempre ammirato; d) l'assoluta indipendenza psicologica, unita a una personalità straordinaria, che lo rendono immune da lacrime e sceneggiate pro-popolo bue. Visto che stiamo parlando dell'uomo che ha deciso gli ultimi otto campionati nazionali disputati, la questione è di una certa rilevanza. Via lui dal calcio italiano, si rimescola tutto. E con questa Juventus e questo Napoli rimanere fuori dalla Champions è per entrambe le milanesi una eventualità realistica.
Del Sion importa poco anche in Svizzera, ma la causa che lo oppone alla Uefa potrebbe essere per il calcio mondiale più devstante della sentenza Bosman. Antefatto, in breve: il club svizzero era stato escluso dall'Europa League per avere acquistato giocatori in un periodo in in cui il mercato gli era proibito da una squalifica Uefa e da lì è iniziato il solito circo di minacce legali e ricorsi. La novità è che il Sion ha ritirato il ricorso presso il Tas di Losanna dopo avere avuto il permesso (della lega svizzera) di schierare i nuovi acquisti, ma che prosegue nella proibitissima causa ordinaria presso un tribunale civile locale. Che, se vinta, potrebbe avere effetti internazionali. Traduzione: inondare la giustizia ordinaria di tutte le beghe che la giustizia sportiva risolve con l'accetta, creando anche ingiustizie, ma sempre in tempi che consentano lo svolgersi dei campionati. Facendo un parallelo con la Calciopoli che tanto amiamo (essere insultati da certa gente non ha prezzo, tipo Mastercard), in Italia avrebbe significato al di là delle questioni di merito non disputare la serie A di calcio dal 2006 ad oggi. Un bene per il basket e la pallavolo, certo.
Dopo cinque giornate siamo già in serie A al quarto esonero, quello di Pierpaolo Bisoli dalla panchina del Bologna con possibile ritorno in pista di Davide Ballardini (mentre stiamo scrivendo queste righe non è ancora ufficiale, da non escludersi quindi colpi di scena). Dal libro dei temi giornalistici si dovrebbe estrarre la lamentela per la troppa fretta dei club, con annessa critica ai presidenti mangia-allenatori, ma al di là degli articoli di maniera bisogna dire che questo sistema fa comodo a tutti perché tutti lavorano di più e tutti hanno l'alibi pronto. Poi va detto che quest'anno i cambi hanno dato davvero la mitica scossa: Ficcadenti al Cagliari sta facendo benissimo, Mangia al Palermo anche, andando oltre l'ultimo risultato interista fra Ranieri e Gasperini c'è un abisso.
Tutto esaltano il modello Barcellona a parole, poi nei fatti trattano come un club senza identità anche la nazionale. Adesso Prandelli apre a Osvaldo, facendo discorsi tecnici e dimenticando la cosa più importante che ancora giustifica l'esistenza delle nazionali: il sentimento di appartenenza. Ecco, in questo senso Osvaldo è argentino, come Thiago Motta è brasiliano e come un cinese si sente cinese (per citare una famosa frase di Balotelli). Lasciamo perdere che in Italia ci siano almeno venti attaccanti più forti di lui, questo è bar sport: mettiamo anche che Osvaldo sia il nuovo Ronaldo. Tanta retorica sui 150 anni dell'Unità d'Italia e sull'Italia una e indivisibile, poi subito pronti alle furbate. Le fanno anche altri? E allora?
Nell'ultima puntata dell'Infedele, su LaSette, Gad Lerner parlando della raccolta delle firme per la modifica della legge elettorale (in pratica per il ritorno delle preferenze) ha invitato in studio membri del comitato promotore, di cui lui steso fa parte. E lo ha dichiarato tranquillamente, per i pochi telespettatori che non lo sapessero. Poi la trasmissione, molto interessante, è andata avanti. Perché i giornalisti sportivi non possono dichiarare il proprio tifo calcistico, anche se riguarda solo l'adolescenza e con gli anni non te ne importa più quasi niente? Secondo noi è un'ipocrisia e una disonestà nei confronti del lettore. I venduti veri sono quelli che traggono vantaggi da quello che scrivono e soprattutto che non scrivono, facendo i furbi cerchiobottisti. La triste morale è che la gente prende molto più sul serio il calcio che la politica, alcuni (per fortuna solo una minima parte) dei commenti che leggerete sotto a questo articolo lo dimostreranno.
Stefano Olivari