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Per chi suona la Campania

Redazione

20 settembre 2011

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Seicento arbitri aggrediti in un anno in Italia, senza contare le minacce verbali o di altro tipo che sono difficilmente quantificabili ma che sono la norma. La denuncia di Antonello Valentini, direttore generale della Figc, è tutto tranne che sorprendente. Fare l'arbitro è pericoloso, non in serie A ma dai campionati dilettantistici (almeno di nome, visto che non sapremmo come definire la serie D) in giù. Con problemi enormi a livello giovanile, dove non esiste nemmeno l'effetto di deterrenza dato dalla presenza di un carabiniere in divisa. Valentini parla di situazione 'a macchia di leopardo', pietoso eufemismo per non dire che nel Sud e soprattutto in Campania la situazione sia davvero fuori controllo. Cosa si può fare concretamente, visto che in una stagione si giocano circa 570mila partite ufficiali e che non si possono militarizzare anche le partite dei Pulcini? Prima risposta: toccare ogni realtà malata sull'aspetto finanziario. L'idea di Abete di togliere la gratuità dell'arbitraggio e di permettere agli arbitri l'accesso alla giustizia ordinaria per i risarcimenti è già un inizio. Ma è chiaro che la cultura sportiva non si può imporre per decreto. Avendo anche noi modestamente arbitrato a livello giovanile per la Figc, anche su campi dove l'intimidazione era la regola (più nei confronti degli avversari che dell'arbitro, va detto), aggiungeremmo un'altra proposta concreta: l'abolizione dei guardalinee di parte. Cosa sono? In pratica guardalinee che non sono mandati dalla Figc, per evidenti motivi di costo, ma vengono per così dire 'nominati' sul posto dalle due squadre: di solito dirigenti o accompagnatori. Statistica personale: tolto quel 10% di persone oneste, ognuno sbandierava (e sbandiera, la situazione non è cambiata) senza ritegno a favore della sua squadra, sbagliando apposta di metri i fuorigioco e segnalando i falli a seconda dell'estro. Confondendo l'arbitro (mai provato a non fischiare un fuorigioco quando il vostro guardalinee sta sbandierando da un minuto?), innervosendo gli avversari, scatenando la cattiveria di un pubblico già maldisposto: se uno è un idiota quando parla della sua squadra del cuore, figuriamoci quando in campo c'è suo figlio...Insomma, meglio niente. Salendo un po' come classe di età, una buona misura sarebbe l'utilizzo costante del campo neutro, magari con scambi fra società non troppo lontane geograficamente. Perché se l'addetto ai lavori può essere in qualche modo tenuto a freno da possibili squalifiche, lo spettatore normale sa di non rischiare nulla tirando in campo una bottiglia o una pietra. Poi possiamo fare grandi dibattiti e dire che bisogna cambiare la cultura, ma nel lungo periodo (come diceva Keynes) saremo tutti morti. Stefano Olivari

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