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La Premier League dei poveri

Redazione

26 agosto 2011

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Il secondo vero sciopero dei calciatori italiani nella storia è ormai una realtà, a cui si è arrivati per motivi ben precisi e quasi nessuno dipendente dalla volontà dei giocatori e del loro presidente Damiano Tommasi. Partiamo dalla fine: l'obbiettivo della Lega di serie A, dopo avere lasciato al suo destino la B, è quello di liberarsi anche del controllo della Figc e organizzarsi la Premier League de' noartri. Di sicuro riducendo le retrocessioni e pretendendo certi parametri finanziari per le promozioni, probabilmente esercitando un controllo diretto sul sistema arbitrale al posto di quello (indiretto) attuale, magari cambiando formula (playoff? Super Bowl? Regionalizzazione?). In ordine sparso, con varie gradazioni di coraggio e/o arroganza, almeno 15 club su 20 vogliono la svolta. Non è un caso che le tiepide richieste dell'AIC sui fuori rosa, integrate da una nota esplicativa di Abete che di fatto autorizzava il mobbing tanto caro ai club (il presidente della Figc parlava di motivazioni sportive, ma visto che Gasperini può far lavorare a parte Sneijder e Allegri può farlo con Ibrahimovic è evidente che si trattava di un chiarimento solo formale), siano state respinte con 18 voti contro 2 (Cagliari e Siena). Il resto del lavoro è stato fatto dagli ascari mediatici, visto che in molti casi le proprietà delle squadre coincidono con l'azionariato dei media, che da giorni stanno martellandoci non diciamo che cosa con il dibattito sul contributo di solidarietà: la cui applicazione, mentre stiamo scrivendo queste righe, è ignota anche a Tremonti e che in ogni caso mai ha riguardato questa vertenza (parentesi: è sempre stato chiaro che nei contratti espressi al lordo questo contributo è a carico dei calciatori, mentre in quelli espressi al netto la materia è controversa anche per i commercialisti). In sintesi l'inizio della serie A è slittato senza alcun motivo concreto, se non la volontà dei club di andare alla rottura. Stefano Olivari

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