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Valencia, tra velocità e controllo.

Redazione

23 agosto 2011

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Ogni grande club tende ad avere una propria filosofia di gioco storica: non sempre viene rispettata alla lettera, ma orienta la sensibilità del pubblico di casa e fornisce etichette, talvolta un po’ superficiali,  ma però prive di un fondamento di verità. In Spagna pertanto, mentre lo spettatore del Camp Nou applaude anche un retropassaggio, quello del Bernabeu invece borbotta, chiedendo ai suoi un gioco offensivo più diretto. Fra la fine degli anni Novanta e l’inizio del nuovo millennio, nella fase di vero splendore dei club spagnoli (quando le big non erano solo due modello Scottish Premier League), anche il Valencia impose un suo marchio: prima quello del contropiede, con cui Ranieri e Claudio López facevano ammattire il Barcellona di Van Gaal; poi quello più “sacchiano” di Rafa Benítez, ovvero pressing alto e ripartenze già nella metacampo avversaria. Un gioco che in entrambi le variabili prescindeva da una manovra eccessivamente elaborata. Quanti meno passaggi prima del gol, tanto meglio. Un concetto semplice ma chiaro, un’identità ben definita. Proprio quella che manca al Valencia attuale. Discorso bizzarro per una squadra dai risultati tutto sommato buoni (prima classificata nella Liga degli Umani gli ultimi due anni, e favorita anche in questo), mai però capace di imporre fino in fondo un suo gioco. Visto il precampionato, Emery sembra a un bivio. Significative le due amichevoli contro il Liverpool e la Roma: ad Anfield, un Valencia incapace di proporre gioco dalle retrovie, con un penoso abbozzo di “salida lavolpista” (meccanismo che Guardiola ha cercato di copiare senza successo dall’attuale CT della Costa Rica: un centrocampista retrocede fra i due difensori centrali per creare la superiorità contro i due attaccanti avversari) che non fa guadagnare metri alla squadra ma anzi attira il pressing; contro la Roma invece, un Mestalla divertito dal contropiede vertiginoso esibito dall’equipo che. Quale Valencia vedremo? La polarità è confermata anche dalla campagna acquisti: da un lato contropiedisti dal passo che incendia l’erba (toccherà a Piatti e al canterano Bernat, una scheggia sulla sinistra, curare la nostalgia per la partenza verso la Londra di un big come Mata), dall’altra quel Dani Parejo che, fallita la scommessa-Banega, in cabina di regia ha gran visione di gioco ma anche un temperamento e una ridotta intensità discutibili per quello che è lo “stile Valencia”. Per ora il Valencia sembra più comodo col pallone agli avversari e campo per ripartire, ma lui e Canales (in cerca di rilancio dopo l’anno perso a Madrid) potrebbero cambiare il discorso. (a cura di Valentino Tola)

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