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Se nemmeno Briatore ci guadagna

Redazione

19 agosto 2011

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Il fatto che Flavio Briatore e Bernie Ecclestone si siano liberati del Queens Park Rangers, cedendolo per 100 milioni di sterline al miliardario malese Tony Fernandes (due terzi del pacchetto azionario, il rimanente è degli indiani Mittal), dice una parola definitiva sull'impossibilità di guadagnare nel calcio basandosi su quella che in economia aziendale si definisce 'gestione caratteristica'. Ci si può arricchire con la compravendita dei giocatori, se hai l'intelligenza e la capacità di programmazione di un Pozzo, ma con la normale attività no. Un po' come se la Fiat potesse andare avanti vendendo i dirigenti migliori, senza avere margini di guadagno sulla vendita di auto. Alla fine il cerino è passato, non gratis, nelle mani di Fernandes, che si è presentato in maniera curiosa: ''Ho sempre voluto entrare nel calcio e l'opportunità di acquistare un club londinese, come il QPR, era troppo ghiotta per non essere sfruttata. Il QPR è una pietra grezza, spero di contribuire a trasformarlo in un diamante. Tutti sanno che ho sempre tifato per il West Ham in vita mia, ma ho sempre avuto un punto debole per il QPR. I Rangers sono stati una delle prime squadre che ho visto giocare al Loftus Road''. Più concretamente, essendo Fernandes anche il boss della Lotus, la 'sola' gli è stata piazzata dal gatto e dalla volpe a margine di qualche gran premio. Il QPR è appena tornato in Premier League e ha cominciato la stagione nella massima divisione con una pesante sconfitta casalinga (0-4) contro il Bolton, sul piano tecnico si può dire che la gestione Briatore sia stata positiva. Ma è diventato chiaro anche a un vincente come lui, trionfatore più volte in Formula Uno senza sapere bene cosa ci sia in un motore, che nel calcio chi vuole vincere non può strutturalmente guadagnare. Il debito astronomico del Barcellona, quasi 400 milioni di euro, e la quotazione asiatica del Manchester United (il 25% del capitale, 6 anni dopo il delisting da Londra), lo dimostrano senza bisogno di fare esempi italiani. Altro che la tiritera sullo stadio di proprietà e sull'aggirabilissimo fair play finanziario (il caso dello sponsor del Manchester City è da manuale): chi vuole davvero vincere deve necessariamente perdere a livello di bilancio, perché si sente costretto ad arrivare dove la concorrenza non può o non vuole arrivare. Stefano Olivari

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