Galliani, Crimi, Tommasi, Calderoli, più quegli opinionisti che si fanno trovare con il cellulare acceso anche a metà agosto. Solo nella terra promessa dei pagamenti in nero, cioè l'Italia, possono esserci dibattiti surreali come quello delle ultime ore su chi debba pagare il cosiddetto contributo di solidarietà previsto dall'ultima manovra di Tremonti. Tocca ai calciatori o ai club? Con tutto il rispetto per le testate che hanno ottenuto click facili con sondaggi sul tema (ovviamente il popolo bue ha risposto che tocca a quei viziati-viziosi dei calciatori, con percentuali che una volta avremmo defionito bulgare), si tratta di una non-domanda. Perchè visto che il contributo viene calcolato sul compenso lordo, lo pagheranno i club per conto dei giocatori (formalmente dipendenti), come avverrà in quasi tutte le aziende con collaboratori pagati oltre 90mila euro lordi l'anno. La quasi totalità dei contratti dei calciatori italiani è scritta in base al compenso lordo, a meno che i pezzi di carta depositati in Lega non siano falsi, tranne che in alcuni casi specifici (di solito riguardanti elementi con buon potere contrattuale) in cui, come consentito dal vecchio contratto nazionale (quello non rinnovato e che in teoria potrebbe causare lo sciopero alla prima giornata di campionato), le somme sono evidenziate secondo il netto con i club che si impegnano a farsi carico dell'eventuale aumento del carico fiscale. In sintesi: nel primo caso, che riguarda la maggioranza dei professionisti del calcio, pagheranno i calciatori conj i club semplice sostituto di imposta, mentre nel secondo come da contratto pagheranno le società. Questo secondo le vituperate regole, in questi casi sempre superate da demagogia da quattro soldi: sui privilegiati che non vogliono fare sacrifici, sulla serrata della NBA, sugli altri paesi che ci stanno superando (la sentiamo da quarant'anni, diciamo che è un sorpasso lento) e via cialtroneggiando. Qui non ci sono ragioni e torti, ma solo un provvedimento del governo da rispettare secondo il proprio contratto e il proprio compenso. Il fatto che sia stata trasformata in una guerra di immagine ci impone però di dire che hanno ragione i calciatori. E' curioso come i media e gli stessi tifosi si schierino in questi casi dalla parte di dirigenti che con i loro pagamenti in nero (alcuni degli intervenuti al dibattito se ne intendono) e le loro spese folli hanno messo il calcio italiano su una strada senza ritorno. Ma non c'è da avere paura: passata l'ondata di calcio gli stessi media e gli stessi tifosi ricominceranno a chiedere 'investimenti'.
Stefano Olivari