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Quando gli sceicchi erano Berlusconi e Moratti

Redazione

4 agosto 2011

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Il declino del calcio italiano è ormai diventato un genere giornalistico a sé stante, con i suoi cantori e i suoi ispiratori. Fra questi il più continuo è Adriano Galliani, che dall'analisi del fisco spagnolo (ma fino a prova contraria il Real Madrid e il Barcellona non hanno pagato giocatori in nero, come invece in passato hanno fatto società a Galliani ben note) è passato alla descrizione del presunto sorpasso francese. Che sarebbe comprovato dall'attivismo sul mercato del Paris Saint Germain del suo pupillo Leonardo, che ha speso 80 milioni di euro per Pastore, Menez, Sissoko, Sirigu, eccetera, avendo alle spalle un'azionista di maggioranza come il QSI. Cioé in sostanza lo stato del Qatar, attraverso uno dei vari Al Thani (cioè la famiglia dominante). E' però incredibile che queste spese senza controlli e in ogni caso sempre superiori alle entrate destino scalpore solo quando è dall'estero che vengono fatti i grandi colpi. Quando nel 1984 il miglior giocatore della storia (Maradona, possiamo ribadirlo) lasciava il Barcellona per giocare in una squadra italiana di media classifica andava tutto bene, quando le sette sorelle e poi di fatto solo Berlusconi e Moratti hanno schiantato il mercato con ingaggi assurdi (al punto che risultano invendibili anche le riserve) queste follie venivano classificate come 'investimenti' dai nostri media, adesso che i soldi vengono buttati dalla finestra da PSG e Anzhi gridiamo allo scandalo e romanziamo sul declino. Peccato che a livello di grandi club, solo Manchester United e Bayern Monaco abbiano una gestione che assomiglia a quella di una azienda normale. Tutti gli altri, a partire dal Barcellona, o sono in perdita strutturale o stanno in piedi in maniera fittizia grazie a magheggi delle banche (Real Madrid) e prestiti dell'azionista di maggioranza: vale per il Chelsea di Abramovich, le ricapitalizzazioni annuali tipo Inter o Milan sono concetti diversi solo dal punto di vista contabile. E allora? Il calcio italiano ha solo due, massimo tre squadre decenti a livello europeo, come quello inglese o spagnolo. Più di quello tedesco o di quello francese. Se poi nuovi e vecchi ricchi trovano più conveniente riciclare i propri soldi in campionati minori, per finalità politiche o personali, questo non significa che l'Italia non esista più. Di sicuro dobbiamo ricordarci di questi discorsi quando una nostra società di B va in Argentina e porta via giocatori al River o al Boca. Lì gli sceicchi siamo ancora noi. Stefano Olivari

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