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Redazione

25 luglio 2011

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Ad un passo dal traguardo, ad un passo dalla rottura. Mai stati così vicini, mai stati così lontani. Non sono paradossi, è il destino della Roma e dei suoi tifosi, costretti a rimanere con il fiato sospeso per conoscere l'esito della trattativa tra DiBenedetto e Unicredit. Rilassarsi non è concesso: a meno di 24 ore dall'annuncio della data del closing (fissato per il 29 luglio) il cortocircuito tra le parti ha toccato i massimi storici. Era stata la Banca, venerdì, a proclamare unilateralmente il via libera per la chiusura: era nel suo diritto, perché tutte le condizioni pattuite a Boston erano state rispettate. Dall'ok della Consob, ai contratti di finanziamento, ogni tassello, seppur a fatica, era finito al suo posto. Peccato che da qualche settimana gli americani lamentassero alcune perplessità sui conti del club: per sostenere il progetto, per portare avanti un certo tipo di mercato, mettiamo più soldi nella ricapitalizzazione (non più 35 milioni, ma circa 70), il messaggio lanciato dagli Stati Uniti. L'istituto di credito non ha mosso obiezioni alla proposta Usa. Ma è proprio sul «sì» della Banca che l'ingranaggio si è inceppato: se, rispetto alle previsioni (e agli accordi), l'iniezione di denaro necessaria a guarire il bilancio della società corrisponde al doppio, evidentemente il prezzo della Roma deve essere rivisto. DiBenedetto chiede di versare 13 milioni in meno ad Unicredit, a fronte di uno sforzo maggiore in fase di ricapitalizzazione. Apriti cielo. O meglio, alzati muro. Perché da Piazza Cordusio il «no» è arrivato deciso. A questo punto, la firma per il passaggio di consegne non è appesa semplicemente all'inchiostro delle penne. Domani sbarcheranno nella Capitale due manager di fiducia di James Pallotta, uno dei soci Usa, per tentare di trovare un nuovo accordo con i venditori. Che d'un tratto si ritrovano in posizione di forza: ora che il progetto sportivo della Roma è ben avviato, spetterebbe al tycoon, eventualmente, decidere se alzare i tacchi e perdere gli oltre 10 milioni di euro investiti fin qui tra caparra e spese sostenute per portare avanti l'operazione in questi mesi. Unicredit adesso fa la voce grossa: sarebbe addirittura disposta a far saltare l'affare e a farsi carico del club. In qualità di banca può farlo, anche senza modificare lo statuto, perché come creditore ha diritto a valorizzare la società in ottica di cessione futura. L'atteggiamento ha mandato su tutte le furie gli americani. E fatto della Roma uno strano caso: la rivoluzione a Trigoria è in atto da tempo, grazie alle mosse del dg in pectore Baldini e del ds Sabatini, uomini scelti da Boston, che a sua volta Unicredit pensa possano rimanere sotto il proprio cappello in caso di rottura con lo Zio Tom. All'americano, tuttavia, i dirigenti hanno giurato fedeltà. E nel caos continuano ad andare avanti: ieri il direttore sportivo ha raggiunto il ritiro di Riscone di Brunico per assistere all'amichevole dei giallorossi con il Sud Tirol (3-0, doppio Vucinic e Borriello) e pianificare il mercato. Menez è prossimo al trasferimento al Psg, mentre il destino di De Rossi è tutto nelle mani del centrocampista: può scegliere se accettare la proposta di rinnovo (salita a 5 milioni) o cedere alle lusinghe del City, che gli offre 9. Sul tema si confronteranno anche Luis Enrique e Sabatini. Che a giorni sarà ad Amsterdam: appuntamenti in programma con i dirigenti dell'Ajax per Stekelenburg e con il presidente del San Paolo per Lucas. Sempre di progetto a stelle e strisce si parla. Per il momento. Fonte: articolo di Simone Di Segni pubblicato sulla Stampa

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