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Meglio di Italia Novanta

Redazione

18 luglio 2011

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La bellezza di una partita dipende anche dalla sua importanza, quindi possiamo scrivere già adesso che la finale del Mondiale femminile fra Giappone e Stati Uniti sia stata una delle partite più belle della storia del calcio. Peccato che sia finita ai rigori, ma la perfezione non esiste. Le favorite americane a dominare il gioco, soprattutto fisicamente (non è un luogo comune: le punte statunitensi erano davvero 15 centimetri più alte delle loro marcatrici), le outsider giapponesi brave a ripartire cercando prima le fasce e aspettando inserimenti nello spazio (quindi con meno rischio di contrasti). La inutile vittoria ai punti, tipo ginnastica e o tuffi, è stata delle americane per numero di occasioni create (e all'ultimo minuto dei supplementari la Wambach ha avuto la palla per il tre a due da leggenda) e soprattutto per le poche occasioni concesse: il primo pareggio giapponese è arrivato dopo un rimpallo nato da un rilancio difensivo sbagliato, il secondo di tacco dalla Sawa, tipo Roberto Mancini, su azione da calcio d'angolo. Alla Commerzbank Arena di Francoforte, solito tutto esaurito e senza nemmeno il doping mediatico della squadra di casa presente, si è visto davvero di tutto e al netto della retorica sulla vittoria giapponese che dà gioia a un paese che ha da poco vissuto una tragedia (sarà retorica, ma comunque ci sono state sia la tragedia che questa grande impresa), le emozioni resteranno. Come resteranno tante altre cose, di questo sesto Mondiale. Prima di tutto lo straordinario successo di pubblico, non solo nelle partite decisive: circa 800mila presenze in totale, con meno tifosi al seguito (al contrario di quanto avviene nel Mondiale maschile) ma proprzionalmente molti più 'neutrali'. Poi questa edizione tedesca è stata caratterizzata da partite quasi sempre equilibrate, anche nella fase a gironi: in altri tempi la Guinea Equatoriale sarebbe stata sotterrata dalla Norvegia, adesso è riuscita a tenere lo zero a zero quasi fino alla fine. Rimarranno anche la classe clamorosa di Homare Sawa, che a 33 anni ha trascinato le compagne con gol, assist ed esperienza (ha giocato 4 anni da professionista proprio negli USA, fra l'altro), lo spettacolo dato dal Brasile prima di perdere ai rigori nei quarti con gli Stati Uniti, le tante storie 'curiose' (nel senso giornalisticamente peggiore del termine) a metà fra amicizie saffiche e velinismo (il che spiega anche il premio dato alla modesta ma bella Hope Solo come miglior portiere del torneo). Partite da conservare: Germania-Francia nella prima fase, la semifinale USA-Brasile (e non solo per il pareggio della Wambach al 122') e ovviamente la finale. Nostri award, discutibili ma nostri. Miglior portiere: la giapponese Kaihori, eccellente nelle uscite alte e come para-rigori. Difensore: la brasiliana Erika, piedi superbuoni, ex aequo con la dinamica inglese Alex Scott. Centrocampista: la Sawa, ovviamente, essendo anche la migliore giocatrice e capocannoniere del torneo. Attaccante: facile dire Marta, anche se non è mai stata al suo livello nononostante i gol, però per il suo impatto sulle compagne votiamo Wambach. In definitiva un torneo molto più interessante della contemporanea Coppa America maschile, e organizzato meglio di alcune edizioni del Mondiale maschile, pensiamo alla Italia Novanta degli stadi mezzi vuoti. Un torneo che purtroppo fra 4 anni in Canada sarà rovinato dall'allargamento da 16 a 24 squadre. Il gigantismo sta arrivando anche qui. Non è colpa del vituperato Blatter, al solito fischiato durante la premiazione, ma del fatto che il calcio femminile tocchi il suo livello massimo quando in campo ci sono le nazionali. Non si può dire la stessa cosa di quello maschile, pur essendo tutti noi vecchi legati al mito dei Mondiali. Stefano Olivari

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