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Daniele Poto: il calcio e le mafie

Redazione

10 luglio 2011

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Daniele Poto è un giornalista sportivo che ha lavorato a lungo con Tuttosport, oggi è con l’associazione Libera, il suo libro “le mafie nel pallone” edito nel settembre 2010, ha visto una impennata in questo ultimo periodo, complice il recente scandalo sulle scommesse, in questa intervista va a “tutto campo” sui problemi economico-criminali che orbitano del mondo del calcio Il suo libro è una lunga teoria di illiceità descritte nel mondo del pallone italico e non, che, se non marcio quantomeno ha un forte odore di corruzione. Secondo lei quali sono i fattori che portano a questa preoccupante ripetizione di aggiustamenti di partite? “I problemi strutturali ed endemici del match fixing o calcio scommesse non sono stati risolti. Tanto è vero che il fenomeno, con personaggi di diverso carisma, si ripresenta ogni due-tre anni. Le mafie, in particolare la camorra, hanno saputo adattarsi al passaggio epocale dal Totonero al mondo della scommessa indiscriminata con una duttilità anfibia che dimostra come l’anti-Stato marcia ad un ritmo di grande “modernità”. Il ventre mollo della corruzione, immobile, è sempre il calciatore, mela marcia categoriale che al massimo rischia qualche anno di carriera con squalifiche raramente severe. Dal loro punto di vista, quello dei protagonisti (soprattutto quando stanno per appendere gli scarpini al fatidico chiodo) il gioco vale la candela”. Sono poche le partite della massima serie con questo forte sospetto di aggiustamento, sembra che le serie minori siano meno controllate e quindi più a rischio? “Il condizionamento è ovviamente più’ facile a partire dalla serie B e per ovvi motivi. Minori controlli istituzionali, modesto rilievo mediatico, minuscola casse di risonanza all’interno di tifoserie di provincia,. In particolare la Lega Pro è il ventre molle del sistema per l’incontrollabilità del suo microsistema. Coltivo l’impressione che certe squadre rifiutino la promozione proprio per promuovere un sistema marcio di partite truccate. Salendo di categoria i rischi aumenterebbero. E, omologamente, credo che molto giocatori cerchino ruoli dirigenziali per esercitare la corruzione, come un secondo lavoro dietro la facciata di comodo di un incarico istituzionale riconosciuto e riconoscibile”. Il Guerin Sportivo, nell’editoriale a firma del direttore Matteo Marani, evidenzia la crisi economica delle divisioni inferiori. Decimate da fallimenti e penalizzazioni. Vanno avanti poche società spesso di provincia ma più sane. L’ultimo esempio è quello del Gubbio. Sarebbe ora di tornare al dilettantismo e ai conseguenti sgravi economici. Secondo lei è anche questa crisi che influisce sulla corruzione e sul preoccupante avvento di fenomeni di aggiustamento di partite? “E’ chiaro che il sistema scoppia ed il professionismo non riesce ad accogliere un organico così palesemente sovrabbondante come quello della Lega Pro. La constatazione è evidente per il suo stesso presidente Macalli. Ma è sui rimedi che ci si divide. Il sindacalismo di riporto dell’Assocalciatori tende alla sopravvivenza di posti di lavoro indifendibili soprattutto considerando che per i giochi di mercato alcune società a fine stagione collezionano un organico di 34-35 unità, utile per formare due squadre. Non si può anti-storicamente tornare al dilettantismo ma, più modestamente, bisognerebbe “raffreddare” il sistema professionistico con una serie di opportuni correttivi. Emendare il sistema per tenerlo in vita, una sorta di downshifting calcistico”. Quanto è presente e come la criminalità organizzata nel mondo del calcio, sono molte le società gestite come il Potenza di qualche anno fa, praticamente in mano alla criminalità locale? Nella massima serie, casi conosciuti di giocatori collegati anche involontariamente con nomi criminali a parte, è davvero molto forte la presenza di mafie? “A parte i casi di contiguità parentale (Sculli, D’Agostino, Borriello) non sono ancora emersi casi clamorosi di contiguità mafiosa. Recentemente Cannavaro è entrato in una vicenda giudiziale a Napoli per alcune sue imbarazzanti amicizie. Appare evidente che in area centro-meridionale questa ricorrenza è favorita dall’invadenza e dall’impossessamento del territorio delle varie mafie locali. La morte del calciatore Bergamini è probabilmente legata a questa pericolosa commistione  Potenza rappresenta l’esempio sommo di “dominazione” mafiosa nel calcio. E non è detto che questo esempio non possa essere seguito”. Le sembra che ove non ci siano giocatori consenzienti a aggiustare le partite si faccia ricorso a minacce non denunciate? “E’ senz’altro possibile. Nel sottobosco delle “partite truccate” può avvenire anche questo. Nei segreti dello spogliatoio come nello studio di un commercialista. Ci sono zone d’ombra ambigue e, a volte, minacciose, come dimostrano rilievi, sopralluoghi ed intercettazioni del recente scandalo che ha coinvolto anche Signori. Per molti giocatori (Paoloni, Bellavista), c’è da chiedersi: “Minacciavano od erano minacciati?”, “Ricattavano od erano sotto scacco?. La risposta la darà la magistratura con le sue sentenze”. Lei ha evidenziato nel libro alcune storture su squadre specie dell’est Europa, usate come mezzo di trasporto di valuta o come propaganda politica, inoltre in premier league aumenta l’ingresso di capitali stranieri di cui non importa l’origine, siamo all’avvento di un nuovo fenomeno di legalizzazione di figure non proprio trasparenti? “Economicamente è il fenomeno più preoccupante. Mecenati dai dubbi trascorsi s’impossessano del pacchetto di maggioranza di squadre di prestigio, in Inghilterra come in Italia, protetti da una legislazione di controllo carente. I bilanci sono terreno fertile per i riciclaggi ed operazioni offshore.  Risibile il potere di veto ed intercetto delle singole federazioni, laboriosi i tempi “garantisti” della giustizia ordinaria.  Tempi e meccanica sono tutte a favore dei malversatori!”. In termini di ritorno economico quanto può far gola una squadra importante a sistemi economici criminali? “Il tentativo di scalata alla Lazio (v. Chinaglia nel 2006) dimostra che il pericolo è dietro l’angolo e che non c’è più una sorta di rispetto per la serie A. La proprietà di un club, anche piccolo, è entrata nel giardinetto della diversificazione imprenditoriale dei clan mafiosi: edilizia, riciclaggio dei rifiuti, prostituzione, e, dulcis in fundo, il calcio perché no? Come vede la politicizzazione delle curve e quanto è pericolosa la commistione con le mafie? “Il tifoso, l’ultras, è un’altra figura a rischio, altamente condizionabile. E’ manipolabile il suo consenso, inevitabile la dialettica con la sua potenzialità. Gli stadi sono luoghi di traffici e di spaccio. Ed è droga anche la manipolazione del consenso, indispensabile ai grandi club per avere vita tranquilla. Così la ‘ndrangheta (A Milano ad esempio) si prende un’intera curva. Ed a Roma un derby sospeso per una dimostrazione autoreferenziale di una frangia ultras che in quell’occasione ha tenuto sotto scacco anche un calciatore carismatico come Totti”. L’intero sistema calcio sembra in crisi, debiti in Spagna, in Inghilterra, in Italia poi siamo alla canna del gas e alla spalmatura dei debiti. Che cosa ci aspetta in futuro? “Se il calcio vuole salvarsi deve andare incontro ad un graduale ma logico declassamento, una sorta di svalutazione spontanea nel nome della sopravvivenza. Non importa se lo spettacolo sarà depotenziato. La grande ubriacatura economica legata alla fumosa vendita dei diritti d’immagine è definitivamente alle spalle, è un mondo che non ritorna. Un calcio meno gioco e più sport. E può ancora piacere al tifoso che finirà con l’accettare questo inevitabile cambiamento, questa coattiva direzione per il futuro” Dica la verità, non avendo potuto fare in tempo a scrivere sul suo libro del nuovo calcio scommesse, cosa ha pensato di questo ennesimo episodio oscuro? “L’episodio ha regalato nuova pubblicità al mio libro che, probabilmente vedrà una seconda edizione aggiornata. Noto con rammarico che dopo essersi impossessato delle prime pagine in pochi giorni il caso è decaduto alle brevi, tipico di un certo giornalismo italiano assai poco investigativo. La tendenza mediatica al ridimensionamento va di pari passi con le amnesie della giustizia sportiva di Palazzi” Lei pensa che l’azionariato popolare per le squadre di calcio possa in parte arginare il fenomeno della corruzione? “L’azionariato popolare sembra un po’ l’irraggiungibile araba fenice capace di far quadrare tutti i conti. Siamo lontani dal sistema non verticistico dell’azionariato popolare e delle polisportive spagnole. Quelle italiane (v. la Lazio) sono finte polisportive dove il calcio recita vita indipendente. Ma il vero guasto, favorito anche da un’incongrua ideologica fintamente progressista, è stata la trasformazione delle società calcistica in spa, autorizzando il fine di lucro. Lì il sistema ha cominciato a smottare”.

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