Moratti ha perso una grande occasione. Non di vincere, perché l'ha già fatto nel recente passato e le grandi del calcio italiano attuale sono così poche (due?) che l'Inter rischia di rivincere già dall'anno prossimo con chiunque in panchina. Ha perso la grande occasione di associare il suo nome a quello dell'uomo che è il simbolo del calcio pulito, a prescindere dal tifo. Quello Zdenek Zeman che a 64 anni si ostina a parlare di onestà e che proprio per questo viene odiato dai maneggioni (a volte, ma purtroppo non sempre, radiati) e dai loro sudaticci e sfigatissimi web-avvocati. L'entusiasmo che c'è a Pescara per l'ingaggio del boemo non è di sicuro dovuto al fatto che con Zeman si lotterà per la promozione in serie A, ma al fatto che a Pescara dopo i fasti dell'era Galeone torna un'idea. Sì, un'idea. Non il 4-3-3 o gli allenamenti sui gradoni dello stadio, ma la voglia di fare calcio senza furbizia. Non parliamo solo degli scontati discorsi su doping e condizionamenti arbitrali o ambientali, ma anche del classico 'è stato bravo a cercare il contatto' esaltato dalla maggior parte degli uomini di calcio e dei commentatori. 250mila euro all'anno Zeman li avrebbe potuti facilmente guadagnare in un mese in qualche emirato o in un anno in un comodo studio televisivo facendo il monumento di se stesso. Invece torna in campo con il solito contratto annuale, dopo la buonissima stagione al Foggia che lui però non ha reputato buonissima: Foggia, Pescara, Inter, Real Madrid, è uguale. Non a caso la prima richiesta fatta al presidente De Cecco non è stata Messi o, peggio ancora, il mitico 'giocatore di categoria' (l'inchiesta di Cremona ha ben mostrato cosa significhi 'giocatore di categoria'), ma giovani che abbiano voglia di emergere. Finché c'è Zeman c'è speranza, c'è qualcosa nell'aria che ci fa stare attaccati a un gioco in cui è difficile credere. I trofei alzati servono solo a far sfasciare qualche vetrina agli invasati, poi rimane il nulla.
Stefano Olivari
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