Se due indizi non fanno una prova, sono comunque più che sufficienti per alimentare un sospetto: che l’ego di Thiago Alcantara vada pure oltre il suo talento col pallone.
Primo indizio: alla vigilia di Spagna-Inghilterra, debutto dell’Europeo Under 21, il nostro afferma di non conoscere nessuno dei giocatori inglesi, e tuttavia si dice quasi certo della vittoria finale (che non ci sarà). A questa indebita alzata di cresta segue un’intervista che, nonostante la sincerità e la buona fede, non manca di far strabuzzare gli occhi: “Mentirei se dicessi che il mio sogno è trionfare nel Barça… il mio sogno è trionfare nel calcio. Voglio che la gente mi ricordi per sempre”. Legittima ambizione, ma forse un po’ prematura per uno che prima di passare alla storia deve passare davanti a Iniesta e a Xavi.
Difficile negare che le possibilità col pallone di Thiago siano perfino superiori: quel rapporto unico con la sfera, inconfondibilmente brasiliano, le caviglie che sembrano di gomma per come si snodano al momento di saltare l’uomo (avvicinandosi all’avversario sino all’ultimo, ancheggiando e fintando per poi spostare la palla di colpo, con un tocco che lascia sul posto il difensore: un movimento che ricorda Ronaldinho) o di dare il passaggio filtrante con l’esterno, la specialità della casa. E poi una fantasia che gli permette di nascondere sino all’ultimo le proprie intenzioni e spiazzare un’intera difesa schierata, saltando quei passaggi logici necessari ai giocatori normali. Nemmeno Iniesta ha queste intuizioni, e per quanto riguarda le caviglie di Xavi, restano quelle di un comune Homo sapiens sapiens.
Il problema però è che questi lampi rafforzano il divario attuale fra la percezione di sé del giocatore (e la dannosissima percezione mediatica) e la realtà dei 90 minuti e della struttura globale di squadra, alimentando pretese di titolarità immediata che per il Barça rischiano di trasformarsi in una grana.
Per ora, Thiago è un giocatore che risolve le situazioni con la genialità più che con la lucidità. Non sempre i suoi movimenti sono funzionali al modello di gioco: la tendenza a venire costantemente incontro al pallone talvolta chiude spazi ai suoi stessi compagni, e agevola il pressing avversario.
Dettagli dai quali può passare la differenza fra un grande giocatore inserito in una grande squadra, e un fenomeno di realtà di secondo piano, che non sente l’esigenza di perfezionarsi perché tutti cadono ai suoi piedi e in campo può fare ciò che vuole.
(a cura di Valentino Tola)