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Allenatori non da Inter

Redazione

20 giugno 2011

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1. Qualsiasi considerazione sul futuro allenatore dell'Inter è ad altissimo rischio, visto che Moratti per primo non sa ancora chi sarà e che fra un minuto ogni situazione potrebbe essere ribaltata. Inutile riproporre i pro e i contro dei mille candidati (ma soprattutto auto-candidati), da Villas Boas a Gasperini, forse più utile sottolineare che da quando l'Inter vince (nell'ultima 'deludente' stagione sono arrivati un Mondiale, una Supercoppa e una Coppa Italia) il presidente nerazzurro sembra sempre più simile a quello dell'inizio della sua gestione. Quello che pensava che che due mezzi giocatori ne facessero uno vero e che in fondo gli allenatori sono trascinati dall'ambiente: nell'Inter di Moratti non funziona così, tanto è vero che hanno vinto o almeno convinto solo personalità fortissime come Mancini e Mourinho. Insomma, Capello (mentre scriviamo queste righe il favorito sembra lui) può essere la stessa cosa di Zenga al Milan ma non all'Inter. Non tutti sono allenatori da Inter, a prescindere dal curriculum. 2. Sicura è la partenza di Marco Materazzi, che dopo dieci anni di Inter (gli ultimi due solo da discutibile uomo-spogliatoio) andrà forse all'estero prima di tornare per un ruolo dirigenziale che all'Inter non si nega a nessuno. Tanti dirigenti, nessun dirigente: decide il presidente. Non siamo grandi simpatizzanti di questi 'uomini-veri' che la stampa per tifosi vende al popolo, ma bisogna ammettere che Materazzi è stato decisivo in molte vittorie interiste (e anche al Mondiale del 2006) senza essere baciato dal talento e dopo inizi calcistici nell'Italia profonda e lontana dai riflettori. 3. Michel Platini sarà qualunquista, ma è sempre stato il volto migliore del calcio: da giocatore e da dirigente. Lo scatto di orgoglio di Abete, che ai tempi di Calciopoli non era un passante ma il vicepresidente di Carraro, era quindi degno di miglior causa. Ma rientra perfettamente nello schema del nazionalismo all'italiana: compattiamoci contro lo straniero che vuole dare lezioni di etica. 4. In cosa consiste il progetto PSG finanziato dall'immancabile fondo sovrano e gestito da Leonardo? A prima vista nello spendere cifre impossibili, ammazzare il mediocre campionato francese e garantirsi un posto eterno in Champions League con abbonamento all'eliminazione agli ottavi di finale o ai quarti. Però agenti e giocatori hanno annusato il profumo dei soldi e fingono di prenderlo sul serio. Buon ultimo Jeremy Menez, che non vede l'ora di scappare da una Roma immobile e in una situazione grottesca (con il compratore che aspetta un prestito del venditore) e che lo ha fatto sapere a France Football. A seconda vista il PSG formato Leonardo potrebbe essere un buon approdo per campioni che hanno già dato ma non sono ancora proprio al capolinea, come Kakà. Stefano Olivari

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