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Utilità dell'hockey ghiaccio

Redazione

16 giugno 2011

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Disagio sociale a Vancouver. Di sicuro ci sarà qualche consigliere comunale della città della British Columbia, magari con un passato giovanile da terrorista (chi non ce l'ha oggigiorno?) a tirar fuori l'arma più amata dai giustificazionisti d'aria, di terra e di mare, per spiegare la vera e propria guerra scatenatasi in città dopo la vittoria dei Boston Bruins in garasette della finale del campionato NHL. Mentre Chara, Bergeron e Marchand alzavano la Stanley Cup il centro di Vancouver è stato distrutto da centinaia di persone apparentemente normali (non i black bloc della situazione, per intenderci), a visto scoperto, con migliaia di fiancheggiatori: che magari non spaccavano vetrine e rovesciavano auto, ma erano lì ad assistere facendo anche foto ricordo. Nessun morto, almeno mentre stiamo scrivendo, ma tanta paura. Fatti non molto diversi da quelli del 1994, anche in quell'occasione per una sconfitta in garasette di finale (contro i New York Rangers). Nella versione 2011 la guerriglia è andata avanti per 4 ore dopo la fine della partita, con episodi di saccheggio che hanno unito fan di hockey (come si evinceva dalle casacche) e semplici passanti: viste sul web varie foto di donne che avevano depredato una profumeria... Cose che non c'entrano con lo sport, direbbe il bravo dirigente di società timoroso per eventuali richieste di danni. Siamo tutti colpevoli, aggiungerebbe il giornalista moggiano che ci sarà di sicuro anche a Vancouver. Invece lo sport c'entra eccome, perché solo quando la situazione degenera ci si rende conto di quale sia la vera funzione di questo circo capace di presidiare il tempo libero di ogni ceto sociale. Stadi ordinati e strade violente oppure il contrario? Il nostro non è un discorso in negativo, anzi. Pensate a cosa sarebbero le strade se non ci fosse lo sport a canalizzare l'aggressività e gli istinti peggiori egli esseri umani. L'hockey ghiaccio in Canada, il calcio in Italia, il cricket in Pakistan, eccetera. Per questo ci commuove l'immenso Steve Nash, fra l'altro cognato del giocatore dei Canucks Manny Malhotra, che su Twitter invitava a fermare le violenze e a pensare all'anno prossimo, 'perchè abbiamo una grande squadra'. Il problema non è la grande squadra, ma che ci vuole la grande squadra per rendere possibile la convivenza civile. In alternativa una guerra ogni tanto. Un tweet di Marinetti sarebbe stato più appropriato. Stefano Olivari stefano@indiscreto.it

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