L'estate è la stagione del 'manca solo la firma', la frase fatta dietro a cui si può nascondere chi vuole scrivere qualsiasi cosa gli passi per la testa. Il più clamoroso esempio del genere non riguarda però un calciatore, l'inevitabile Aguero che sognerebbe la Juventus, ma una squadra: la Roma. Leggendo di colpi mirabolanti e di toto-allenatori, bisognerebbe anche pensare che allo stato attuale non è ancora stato perfezionato il passaggio di proprietà fra la famiglia Sensi e la cordata americana, con Unicredit che sta un po' recitando tutte le parti in commedia: creditore del venditore, finanziatore dell'acquirente, consigliere (in cialtronese si dice advisor) di entrambi e anche di fatto proprietario di minoranza quando lo sbandierato accordo entrerà a regime. Finora siamo all'Antitrust che ha dato il via libera all'operazione, che dovrà far confluire nella nuova società le azioni della vecchia Roma, quelli della società che gestisce Trigoria e quelli della società che gestisce il marchio. Alla fine di tutto questo DiBenedetto e soci avranno il 60% e Unicredit il 40 di questa Neep Roma Holding. Ma il famoso finanziamento (perché in parte gli americani useranno soldi di Unicredit) non è ancora stato erogato e quindi allo stato attuale non è ben chiaro chi delinei le strategie della nuova Roma. Continuiamo a ritenere incredibile che nella Capitale non sia saltato fuori un gruppo di imprenditori capaci di rilevare la Roma, che alla fine è costata meno di quanto costerebbe l'acquisto di un campione del Real Madrid. Non aveva tutti i torti Franco Sensi nel definire 'cravattari' tutti quei fenomeni da tribuna d'onore, quindi a scrocco, che aspettavano il suo fallimento per farsi regalare la società giallorossa.
2. La Fiat è sempre più lontana dall'Italia dimenticando aiuti di Stato generosamente elargiti (il lavoratore autonomo invece può e deve morire in silenzio, secondo l'ideologia da sempre dominante in questo paese), sarà forse per questo che vuole rendere ancora più stretto il suo rapporto con la Nazionale. Fra poco passerà da fornitore ufficiale a top sponsor. Traduzione: verserà più soldi, per la gioia dell'apparato federale che solo dagli accordi commerciali ricava circa 15 milioni all'anno: aggiungendo gli ingaggi per amichevoli spesso insulse, i soldi del contratto Rai (poco meno di 30 milioni annui, quello in scadenza viaggiava su queste cifre per le sole partite in casa) e quelli Uefa o Fifa delle grandi manifestazioni, si arriva facilmente a un fatturato da ottima squadra di serie A. Con una piccola differenza: qui non esiste il fastidioso obbligo di pagare ingaggi. Quando si parla di sacralità delle nazionali bisogna tenere presente anche questi dati. Se poi arriva quello che ti dice che bisogna ragionare come un club, coinvolgendo i Camoranesi, i Thiago Motta e gli Amauri, si potrebbe rispondergli che i costi, i rischi e le logiche sono molto diversi. Comunque se Blatter continua su questa china, fra 10 anni le nazionali non esisteranno più e in Qatar a gennaio ci andrànno Costarica e Togo.
3. A proposito di Figc, il report 2011 del suo centro studi ha evidenziato che nella stagione 2009-10 le 132 (!!!) squadre professionistiche italiane hanno perso in totale 345 milioni e 536 mila euro, con solo 15 club che hanno riportato un utile nella stagione in cui per la prima volta la serie A ha sfondato il tetto dei 2 miliardi di valore di produzione. Nella montagna di cifre riteniamo interessanti queste: l'investimento sui settori giovanili dei 20 club di A è in totale di 69 milioni, i diritti tv rappresentano il 65%) dei ricavi in Serie A (percentuale praticamente doppia rispetto a Premier League, Liga e Bundesliga. Per finire, in tutti i sensi: solo 61% il tasso di riempimento degli stadi italiani, contro il 92% di quelli inglesi, l'88% per i tedeschi, il 73% spagnolo e il 69% della Francia. Tutte cose che già più o meno si sapevano, sintetizzabili in una considerazione: praticamente solo la televisione sta tenendo in vita questo carrozzone in Italia, ci vorranno anni per cambiare una cultura che trova più facile farsi dare contratti 'politici' che convincere il tifoso-consumatore ad andare allo stadio.
Stefano Olivari
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