(...) Roberto Barbi, 45 anni, lucchese (di Borgo a Mozzano) titoli e record a raffica, un 6° posto alla Maratona di New York del 1998, e poi la frenata drammatica, la trappola del doping e la caduta con la faccia nel fango nell’indifferenza di un mondo, quello dell’atletica, che finge castità additandolo come unico colpevole. Una storia a tratti tragica che ha deciso di rendere pubblica, per la prima volta, dopo la confessione resa ai Nas di Firenze all’interno dell’inchiesta «Operazione Quadrifoglio». Arriva trafelato in tuta e scarpe da ginnastica, appuntamento in un bar di Lucca, subito dopo il turno quotidiano da operaio alla cartiera di Lugliano.
Barbi, come è cominciato il suo incubo del doping?
A 26 anni, quando sono passato dalla corsa in salita alla maratona. I maratoneti più forti mi guardavano come quello che non poteva stare al loro passo. Se avessimo corso tutti alla pari e 'puliti' senza prendere niente io avrei avuto tempi di 2 ore e 14 minuti. Sarei stato inferiore solo a Stefano Baldini che è uno da 2 ore e 13 minuti. Ma quando ho capito l’antifona ho pensato che c’era solo un modo per essere competitivo, prendere l’Epo anch’io. (...)
E funzionava?
Sempre. Se ti fai di Epo non avverti più la fatica, di notte sei ancora talmente su di giri che ti viene voglia di saltare giù dal letto e metterti a correre fino a quando non sei cotto. Nonostante le 8 ore di turno alla cartiera, riuscivo ad allenarmi correndo fino a 35 km al giorno. Un Superman.
Un elisir del successo, una corsa senza ostacoli a vederla così.
Correvo e vincevo. Per forza, con il doping abbassi i tempi di 1 minuto nella mezza maratona e fino a 5 minuti sui 41 km. Ma stava diventando un inferno. Correvo solo per pagarmi l’Epo che mi costava 250 mila lire alla settimana, un milione al mese minimo. E poi dopo aver preso quella roba lì stavo male: palpitazioni, nausea a fine corsa, insonnia e naturalmente la depressione da astinenza. Non te ne accorgi, ma intanto sei diventato dipendente dalla sostanza e senza non puoi più stare. Se la sospendi smetti di essere vincente.
Così vincente da dare nell’occhio e l’antidoping la trova positivo.
La prima volta mi hanno beccato alla Maratona di Firenze del ’96: feci il terzo posto, correndo in 2 ore e 17 minuti. Sono stato un ingenuo, avevo un po’ di raffreddore e ho preso l’efedrina. Però dalla federazione non mi fermano, mi lasciano fare, capiscono che posso essere un 'cavallo buono' e non mi controlla nessuno. Nel ’98 corro la Maratona di New York, ero pieno di roba, arrivo 6°. A un certo punto si sparge la voce che stanno facendo controlli sulle urine di un atleta italiano… Ero io. Ma ho continuato ancora indisturbato fino ai Mondiali di Edmonton 2001 quando mi hanno trovato positivo per la seconda volta e sono stato squalificato per quattro anni.
Pena ridotta a 25 mesi, ma è recidivo e come il gallo l’antidoping glie le canta per la terza volta.
Nel 2003 nella 50 km. Avevo provato a rimettermi in carreggiata e mi sono trasferito con la famiglia da Lucca nelle Marche. A Grottazzolina la società per cui correvo mi aveva offerto un lavoro da 700 euro al mese e un’occupazione anche per mia moglie. Non potevo rifiutare, ma ho sbagliato, sono ricascato nel doping ed è stata la fine. Mi hanno isolato. Sono rimasto senza lavoro, avevo tutto il mondo contro. (...)
Stiamo parlando di un fenomeno in crescita?
L’80% degli amatori posso assicurare che assume sostanze dopanti. A livelli alti ci stai solo se prendi qualcosa altrimenti sei tagliato fuori. E io li riconosco lontano un chilometro. Quando si presentano all’arrivo freschi come una rosa, senza una goccia di sudore, so che in vena hanno l’Epo. Braccia a 'pelle di gallina' hanno preso sicuramente stimolanti, la 'coscia da modella' è indice di tanto Gh. Le contratture di certi calciatori di 40 anni che corrono come diciottenni mi danno molto da pensare, ma non credo che nessuno abbia interesse a controllare sul serio. (...)
Fonte: Massimiliano Castellani per Avvenire, link alla versione completa dell'articolo