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Roberto Mancini: dieci anni da allenatore

Redazione

16.03.2011 ( Aggiornata il 16.03.2011 09:30 )

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Marzo 2001. Dieci anni fa, subentrando a stagione in corso alla guida della Fiorentina a Fatih Terim, Roberto Mancini iniziò la sua carriera di allenatore. Una vita passata fino a quel momento da leader in campo. In panchina, ci fu invece solo qualche mese affianco a Sven Goran Eriksson, alla Lazio: non furono pochi i tecnici che attaccarono il Mancio, per aver saltato la gavetta e per essere passato a stagione in corso da un club all’altro, cosa che in Italia è vietata agli allenatori. In realtà, il mister jesino è passato da allenatore in seconda ad allenatore, e per questo ha avuto il benestare da parte del commissario Petrucci. Chi invece non gradì fu il settore tecnico, il cui vicepresidente, Azeglio Vicini, si dimise per protesta "perché non si rispettano le regole". Dopo alcune peripezie, Mancini poté finalmente sedersi in panchina e l’11 marzo i viola scesero in campo al Curi di Perugia: l’esordio fu rocambolesco. Di Loreto e Liverani portarono sul 2-0 i padroni di casa, ma Chiesa e Lassissi firmarono la rimonta che fissò sul 2-2 il punteggio finale. Mancini poté sorridere per la rimonta e per il rigore che Toldo parò a Saudati nel finale. A fine stagione la Fiorentina portò a casa una Coppa Italia, ma l’anno dopo per la squadra di Cecchi Gori sarà disastroso: retrocessione e fallimento. Mancini si dimise alla diciassettesima giornata. Seguirono due stagioni alla Lazio, con un quarto posto, una semifinale Uefa e un’altra Coppa Italia. Un ottimo ruolino, che lo porterà alla corte di Moratti. Coi nerazzurri vincerà tre campionati (uno a tavolino), i primi dai tempi del Trap (1989) e del dopo-Calciopoli, e altre due coppe nazionali. Mancò solo un successo continentale. Un anno fermo ed eccoci al presente, col Mancio in panchina nella sua amata Inghilterra, appena assaggiata da calciatore al Leicester. L’avventura al Manchester City procede per ora con risultati buoni ma non eccezionali, se si considerano i soldi spesi dai nuovi ambiziosi proprietari.  L’anno prossimo l'ex doriano, potrebbe essere il secondo tecnico della storia, a giocarsi la Champions League coi Citizens. Ma torniamo al 2001, quando iniziò la nuova vita da allenatore e sentiamo cosa si diceva sul Guerino. La parola al direttore Ivan Zazzaroni che così scriveva sul suo “Giovani Adulti”: “Non ce l’ho con Mancini ma…”. “A Roberto voglio bene come a ‘n figlio, però…”. “Gli auguro una grande carriera, tuttavia…”. E giù mazzate, e inviti a dimettersi rivolti a Gianni Petrucci, e battute poco simpatiche. Gli allenatori italiani, per la prima volta compatti, hanno perso una buona occasione per star zitti. Profondamente toccati – di più, offesi – dal caso Mancini e dalle dimissioni di Vicini (di solito non se lo fumano nemmeno di striscio) hanno invocato il rispetto delle regole mettendo alla gogna il commissario della Federcalcio che, concedendo all’ex giocatore della Lazio il permesso di allenare la Fiorentina, ha esercitato un diritto riconosciutogli proprio dal Settore tecnico. Le regole, nel calcio e più in generale nello sport, sono da sempre "interpretate": vogliamo parlarne? Ha scritto lunedì Luigi Ferrajolo sul Corriere dello Sport: «Ora sembra che ai nostri allenatori vada tutto bene sino a quando non si toccano certi privilegi, come quello di starsene a casa con stipendi d’oro senza lavorare. Non ci si scandalizza se tecnici e calciatori non rispettano i loro contratti, se i presidenti li contattano e li ingaggiano col campionato in corso. Non ci si scandalizza se questa norma tanto invocata, sopravvive solo per costringere le società a pagare due, tre allenatori a stagione, con quel che ne consegue per i bilanci. Quanto al Settore tecnico: cosa ha mai fatto di così autorevole e importante per il calcio italiano?». Aggiungo: non ci scandalizza neppure se, sfruttando passaporti-farsa, qualche allenatore schiera quattro extra-comunitari invece dei tre consentiti dal regolamento.  Ricordo – per l’ultima volta – che fino al 31 dicembre 2000 Mancini non avrebbe potuto prendere il posto di Eriksson: è diventato allenatore di prima soltanto con la conclusione del primo corso, ovvero dal gennaio 2001. E che ci sono preparatori di squadre di Serie A che, chiuso un rapporto – da tesserati – con una società, nella stessa stagione si inventano dei contratti di consulenza per lavorare con un altro club. Loro sì, aggirano le regole. Ho un rimpianto, oggi: mi sarebbe piaciuto conoscere le reazioni dei nostri allenatori se Petrucci avesse concesso il permesso di guidare la Fiorentina ad Alessandro Tirloni o a Maurizio Trombetta, o a Gianni Bortoletto. Chi sono? Gli allenatori in seconda di Atalanta, Bologna e Lecce. Già, ma loro non si chiamano Mancini e non avrebbero scatenato tanta indignazione. Giovanni Del Bianco delbianco.giovanni@gmail.com

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