La terra di Berrettini

La rinascita di un campione, la Svezia degli anni Ottanta e le WTA Finals a Riad

La terra di Berrettini
© Getty Images

Stefano OlivariStefano Olivari

Pubblicato il 22 aprile 2024, 12:09 (Aggiornato il 22 aprile 2024, 12:16)

Fra il Matteo Berrettini che ha vinto a Marrakech il suo ottavo torneo ATP e quello che quasi due anni fa vinse il suo settimo, al Queen’s, c’è tutta l’amarezza per una carriera in cui il tennista romano è passato dall’essere fra i grandi favoriti a Wimbledon all’essere considerato (e forse considerarsi) finito, al massimo buono per il gossip in uno sport che intanto in Italia dietro a Sinner ha trovato un numero incredibile di comprimari di lusso. Amarezza ma anche la rabbia giusta per riemergere su una superficie, la terra, dove Berrettini ha sempre giocato bene a dispetto di caratteristiche fisiche e tecniche da veloce. Dopo un cambio di allenatore poco spiegabile e poco spiegato, da Vincenzo Santopadre a Francisco Roig, il rientro nei primi 100 del mondo, al numero 84, è il primo passo della seconda vita di un campione che anche se si ritirasse adesso sarebbe da considerarsi il quarto di sempre nella storia del tennis italiano. Ma il punto è che lui non si è ritirato, né ufficialmente né di testa.  Ed è chiaro che a 28 anni la sua ambizione non è vivacchiare, ma tornare quello del 2021-22 e smarcarsi (ma non sapremmo come, se non vincendo Wimbledon) mediaticamente dal fenomeno Sinner.

La stagione sulla terra potrebbe portare a Jannik Sinner il numero 1 del mondo, in teoria. In pratica il posto è ancora di un Novak Djokovic che a quasi 37 anni è diventato il più anziano numero 1 ATP di sempre togliendo a Federer anche questo record. Non è record, ma a pensarci è comunque una situazione pazzesca, il fatto che con le 51 posizioni guadagnate da Berrettini gli italiani nei primi 100 del mondo siano diventati 9 e tutti, tranne ovviamente Fognini che comunque in Marocco ha dimostrato una voglia incredibile partendo dalle qualificazioni e vincendo quattro partite al terzo set. Pensando anche al Darderi visto a Houston, che di formazione è italianissimo, una situazione difficilmente spiegabile perché le storie personali dei 9 sono molto diverse ma che ha creato una corsa all’emulazione mai vista dalle nostre parti, una cosa da Svezia anni Ottanta quando nel post Borg insieme a fenomeni come Edberg e Wilander emersero tanti buonissimi giocatori, da Nystrom a Pernfors, da Carlsson a Jarryd. Numero di svedesi oggi nei primi 100? Zero. Godiamoci questi anni.

L’Arabia Saudita ha comprato le WTA Finals, che da quest’anno e di sicuro fino al 2026 compreso si svolgeranno a Riad. Non esattamente il posto dove i diritti delle donne sono più rispettati, ma lo sportwashing ha un’unica regola, il denaro, ed è chiaro che per un Masters 1000 in un paese arabo è soltanto questione di tempo visto come il fondo PIF è entrato pesantemente anche nel tennis maschile. Al di là di questi discorsi, purtroppo applicabili anche ad altri sport anche se i risultati spesso sono disastrosi (qualcuno in Europa segue la Saudi League di calcio?), va ricordato che le WTA Finals nell’ultima edizione a Cancun hanno toccato il loro punto più basso a livello organizzativo e che non ci fosse poi tutta questa concorrenza per organizzarle: una grande occasione persa per tante città, anche se va detto che nessuna campionessa di oggi è trasversale rispetto al tifo nazionalistico. Certo è che il montepremi passerà subito da 9 milioni di dollari di Cancun ai 15,2 di Riad. Più dei 15 delle ATP Finals dello scorso novembre a Torino.

stefano@indiscreto.net

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