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La normalità di Frances Tiafoe

La normalità di Frances Tiafoe

Redazione

30.08.2016 ( Aggiornata il 30.08.2016 08:15 )

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Agli U.S. Open la bellissima partita di primo turno fra John Isner e il diciottenne Frances Tiafoe ha dimostrato una volta di più che le ghettizzazioni razziali e sociali che caratterizzano lo sport (pallacanestro neri, pallavolo bianchi, calcio latinos, velocità neri, mezzofondo veloce bianchi, eccetera) spesso sono autoghettizzazioni. E non parliamo soltanto degli Stati Uniti, con buona pace di dirigenti incapaci di spiegare come mai i cosiddetti 'nuovi italiani' ottengano risultati uguali o peggiori di quelli vecchi. Tiafoe (nero) ha perso, ma il pubblico del nuovo Grand Stand di Flushing Meadows era in gran parte per lui contro il più consolidato Isner (bianco), che si è salvato grazie all'esperienza, agli innumerevoli ace e a un clamoroso game di risposta quando era sotto 5-3 al quinto set. Non diciamo che che il futuro del tennis americano sia di sicuro Tiafoe, perché gli USA hanno una serie di giocatori fortissimi sotto i 19 anni (Taylor Fritz, Jared Donaldson, Stefan Kozlov, Tommy Paul, Reilly Opelka e a un livello di classifica molto inferiore Ulises Blanch) e Tiafoe è soltanto uno di loro, per quanto forse quello con il tennis più facile in mezzo alle ovvie lacune (seconda palla di servizio insufficiente, fase difensiva da costruire). La sua storia è comunque istruttiva. Suo padre è della Sierra Leone ed è arrivato in USA senza arte né parte: diventato custode-inserviente presso un centro federale in Maryland, non è mai stato un appassionato di tennis ma è bastato far fare un corso al figlio perché questi venisse notato e poi fatto crescere dalla federazione americana: una carriera giovanile di alti (vittoria all'Orange Bowl 2013) e bassi, adesso le porte (è numero 125 del ranking ATP) del tennis che conta che si stanno aprendo. Tutto qui: un'infanzia normale, ben diversa da quella delle Williams a Compton ma anche da quella di un predestinato-obbligato alla Agassi, e un percorso di crescita graduale. Nessuna vita strappalacrime, ma pensando anche a casi tipo Donald Young è chiaro che il suo essere nero, in un mondo quasi interamente bianco come quello del tennis, gli porterà più attenzione e guadagni rispetto a un numero 125 di altra razza. twitter @StefanoOlivari 

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