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Toro scatenato e uno sport da film

Redazione

21.09.2017 ( Aggiornata il 21.09.2017 15:44 )

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Jake La Motta ha lasciato questa terra a 95 anni, nonostante in vita sua non si sia mai risparmiato né sul ring (106 incontri in 13 anni di carriera) né fuori. Colpisce che i coccodrilli nel suo caso siano sembrati dedicati più a Robert De Niro, tuttora vivente, per la sua interpretazione in Toro Scatenato, che a La Motta stesso. Eppure l'americano di genitori italiani, Messina e Caserta, è stato un grande in un'epoca della boxe in cui i campioni del mondo erano soltanto otto e la federazione una sola. Arrivare a un match per il titolo era insomma complicatissimo e non soltanto perché le categorie di peso con grande giro di affari (fra cui i medi di la Motta) erano in parte controllate dalla mafia. La Motta fra l'altro ebbe l'intelligenza di ritirarsi a 32 anni, nel 1954, mossa probabilmente decisiva per arrivare fino ai giorni nostri, quando già il suo nome si era agganciato per sempre all'epica della boxe, soprattutto grazie alle sei sfide con Ray Sugar Robinson: più bravo ed elegante di lui, forse il migliore di tutti i tempi, ma spesso condizionato dal coraggio quasi assurdo di La Motta, immortalato da buone riprese video. Questo non toglie che il film di Scorsese abbia, caso più unico che raro con sportivi di questo livello, superato la realtà e dato a La Motta una seconda vita che, ad esempio, Robinson e Muhammad Alì non hanno avuto se non attraverso documentari e lavori giornalistici. Il luogo comune dice che la boxe è lo sport più cinematografico, sia in senso sportivo sia per la drammaticità delle storie, ma fra i tanti film prodotti soltanto pochi si sono guadagnati l'eternità. Questa la nostra personale top ten, con i titoli della versione italiana: giudizio soggettivo che ha soltanto il valore di un consiglio, per gli appassionati che se ne fossero perso qualcuno. Decimo posto per Il campione (1979), di Franco Zeffirelli, remake di un film di King Vidor di mezzo secolo prima, che il regista fiorentino rivisitò (protagonista Jon Voight) più in chiave extra-ring. Nona posizione per Lassù qualcuno mi ama (1956), di Robert Wise, con Paul Newman nei panni di Rocky Graziano, campione dei pesi medi avanti e indietro fra carcere e ring. Ottavo The Fighter (2010), di David Russell, ispirato alla storia di Micky Ward (Mark Wahlberg l'attore), con le scene di boxe che hanno avuto la consulenza nientemeno che di Manny Pacquiao. Settima piazza per Il colosso d'argilla (1956), di Mark Robson, con Humphrey Bogart nei panni di un manager: storia della parabola di un campione con carriera taroccata, molto simile al nostro Primo Carnera. Sesto posto per Rocky IV (1985), di Sylvester Stallone: summa ideologica degli anni Ottanta, esagerato e quasi fumettistico nelle sue caratterizzazioni (Dolph Lundgren-Ivan Drago su tutte), pieno di scene di culto, si può guardare mille volte senza stancarsi mai. Il quinto consiglio, in ordine di importanza, è Million Dollar Baby (2004), di Clint Eastwood, incursione nella boxe femminile con una Hilary Swank molto credibile e un'atmosfera da palestra resa bene da un Eastwood ormai venerato maestro. Quarta posizione per Il sentiero della gloria (1942), di Raoul Walsh, liberamente ispirato alla vita di Jim Corbett, Gentleman Jim, con il volto del superdivo Errol Flynn: quasi un must nelle repliche estive di qualche anno fa in televisione. Terzo un altro film datato, ma non con accezione negativa: Il grande campione (1949), di Mark Robson come Il colosso d'argilla, con protagonista un giovane Kirk Douglas. Per certi versi il più angosciante e disperato di tutti i film sulla boxe. Medaglia d'argento a Rocky (1976), di John Avildsen, primo episodio della saga ideata e interpretata da Stallone: quasi tutti gli altri Rocky (anche l'ultimo, Creed) sono validi, alcuni sono anche autoironici, ma in questo Stallone è perfetto nel dare un volto al perdente più affascinante nella storia del cinema. Nessun dubbio sulla vittoria di Toro scatenato (1980), di Martin Scorsese, con un De Niro ai suoi massimi e più 'deniriano' che mai. Un Jake La Motta anziano che trasformato in teatrante-narratore della sua vita (è stato davvero così, fra l'altro anche Mike Tyson ha preso questa strada) ricorda giorni di gloria ed errori. Classifica discutibile, mentre non è discutibile che la boxe abbia dentro di sé qualcosa che trascende lo sport e arriva davvero a tutti. "Just a man and his will to survive", per citare una canzone della colonna sonora di Rocky III, Eye of the Tiger. Soltanto un uomo e la sua volontà di sopravvivere.

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