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Hopkins fuori dal ring

Redazione

19.12.2016 ( Aggiornata il 19.12.2016 09:14 )

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Lasciare la boxe da vincitore è cosa per pochi e fra questi pochi non c'è il grande Bernard Hopkins, che sabato al Forum di Los Angeles, ben noto a tutti i ragazzi degli anni Ottanta grazie ai Lakers di Kareem e Magic, non ha soltanto perso all'ottavo round contro Joe Smith, ma è anche volato fuori dal ring come accade a volte nei film o nel wrestling. A quasi 52 anni e a più di due dall'ultimo combattimento (per il Mondiale dei massimi leggeri, perdendo velocemente contro Kovalev) Hopkins ha sostenuto il suo 67esimo combattimento da professionista contro uno che quando lui esordiva non era ancora nato... Tutto questo non cancella una carriera fantastica, soprattutto da peso medio, con mille record legati all'età, su tutti l'essere stato il più vecchio campione del mondo, a 48 anni, più quello di essere stato il primo a detenere contemporaneamente i titoli delle quattro sigle maggiori (WBA, WBC, IBF, WBO). Difficile collocare Hopkins nella storia della boxe, dove l'aspetto del personaggio prevale sempre e comunque su quello del pugile, non esistendo valori assoluti o proprietà transitiva. Il record (55 vittorie, 8 sconfitte, 2 pareggi, 2 no contest: uno dei no contest in un un Mondiale dei medi, contro Robert Allen, quando fu spinto fuori dal ring e si infortunò) è figlio di un'attività lunghissima, lo stile (grande difensore e tattico, senza pugno del KO) è stato forse più amato dagli appassionati di boxe che dal pubblico generalista. Con un finale drammatico ma non triste: stando ai cartellini dei giudici all'ottavo round ancora se la stava giocando e la sua borsa, 800mila dollari, era quasi il quintuplo di quella del giovane avversario. Buon investitore, pare, dei tanti milioni guadagnati, lo aspetta un futuro da organizzatore e socio di minoranza della Golden Boy Promotions di Oscar De La Hoya. Negli occhi e nel cuore ci rimarrà per sempre il match contro il grandissimo Felix Trinidad al Madison Square Garden, anche per tutto il contorno, mentre forse più mediatizzato e produttivo è stato quello con De La Hoya. Sempre per stare in tema personaggi, nessuno lo è stato più di Muhammad Alì. Per questo sono diventati famosi anche gli uomini del suo entourage, pieno di miracolati e di scrocconi, per non dire di peggio. Tra i migliori c'era Howard Bingham. Suo fotografo personale e amico strettissimo, Bingham ha lasciato questa terra a 77 anni e sono quasi tutte opera sua le foto che hanno segnato un'epoca della boxe e del mondo, dai match con Liston alla commovente cerimonia inaugurale dei Giochi di Atlanta. Ha avuto una vita anche al di là di Ali, in particolare raccontando Malcolm X e il movimento delle Black Panthers, ma è ovvio che l'ombra del 'Più grande' valga più della luce propria. Venerdì sera eravamo allo storico Principe di Milano per una riunione senza stelle internazionali, ma con molte situazioni interessanti messe insieme da Alessandro Cherchi. Un riunione che ha detto molto sulla vitalità di una boxe italiana che prova ad uscire dall'equivoco del finto dilettantismo, favorito dai gruppi militari ormai dominanti anche all'interno della federazione, che negli ultimi anni ha quasi distrutto l'attività professionistica e non ha portato buoni frutti nemmeno a quella dilettantistica. L'ucraino d'Italia (risiede a Bovisio Masciago) Maxim Prodan, 23 anni e faccia cattiva che conquista, ha disposto facilmente di un mestierante bosniaco, Fejzovic, e con il suo 8-0 prosegue il cammino verso il suo approdo naturale, cioè l'europeo dei welter. Ma soprattutto grossa impressione hanno destato due diciannovenni gemelli nigeriani, anche loro d'Italia (Novara), di cui si parla molto bene da tempo: il medio Joshua Nmomah, ancora dilettante, e il fratello Samuel all'esordio nel professionismo. Baricentro basso, vita stretta (con i pericoli annessi, in fase difensiva), tecnica senz'altro accettabile per la loro età, Joshua sembra avere più personalità di Samuel ma entrambi possono avere un ottimo futuro se rapportati al contesto europeo. Con il giusto cinismo mediatico si può già dire che le vittorie li renderanno più italiani, le sconfitte più nigeriani.

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