Giornale di critica e di politica sportiva fondato nel 1912

Il senso di Lemaitre nella notte di Bolt

Il senso di Lemaitre nella notte di Bolt

Redazione

19.08.2016 ( Aggiornata il 19.08.2016 10:08 )

  • Link copiato

Dopo la finale dei 200 metri di Rio sembrava che a vincere l'oro fosse stato Christophe Lemaitre e non un Usain Bolt che aveva stravinto ma con un tempo inferiore a quanto si aspettasse: 19''78, 'colpa' (stiamo sempre parlando di un crono di superlusso) della pista umida che invitava alla prudenza in curva, alla pioggerellina nemica dei velocisti e anche degli anni che passano, visto che domenica il fuoriclasse giamaicano ne farà trenta. Bolt ha avuto alcuni gesti di stizza, per poi tornare ad indossare la maschera dello showman e dedicarsi al bagno di folla, fra balletti e selfie. Ma il bronzo di Lemaitre, dietro a un De Grasse che rappresenta il futuro della velocità e così, a occhio, anche quello di un velocità meno muscolata e sospetta, è di quelli pesanti. Non soltanto perché arriva da un atleta che si è ritrovato dopo anni difficili in cui si è ritrovato a metà del guado tecnico, ma anche perché, diciamolo senza giri di parole, arriva da un europeo bianco e questo è importante come stimolo per chi comincia a fare atletica: un piccolo calciatore italiano di dieci anni, per scarso che sia, sogna di vincere un Mondiale, quindi è importante che anche per un piccolo velocista funzioni così. La speranza vale più di soldi, nazionalismo, tecnica, politica, eccetera. Dall'oro 1980 di Pietro Mennea (argento di Allan Wells) ad oggi soltanto Kenteris nel 2000 è riuscito a mettersi al collo una medaglia olimpica in un mondo dominato da americani e giamaicani, con qualche inserimento comunque sempre di colore: impresa strana, quella del greco, sia per il tempo (20''09, che a Rio è stato l'ottavo tempo di qualificazione alla finale) sia per la sua vita piena di misteri e anche di squalifiche, come quella ad Atene 2004 per essere fuggito da un test antidoping a sorpresa. Nei 100, senza exploit alla Kenteris, l'ultima medaglia olimpica bianca risale direttamente a Mosca 1980, dove gli americani (ai Giochi dovette rinunciare anche un diciannovenne Carl Lewis...) erano assenti per il boicottaggio. Vinse Wells in 10''25: confrontare epoche lontane è una forzatura, ma si tratta comunque di un tempo superiore al minimo di partecipazione olimpica di oggi (terzo il bulgaro Petrov, con... 10''39!). I 400 sono associabili alla velocità, ancora di più da quando viviamo l'era Van Niekerk, e qui il panorama recente è più vario: Wariner, americano bianco, oro ad Atene 2004 e argento a Pechino, con prima di lui l'inglese Roger Black argento ad Atlanta. Cosa vogliamo dire? Che certe performance deludenti nascono spesso da una auto-esclusione dalla competizione: la differenza di composizione razziale fra nazionale USA di pallacanestro e nazionale USA di pallavolo (parliamo quindi di sport che 'pescano' ragazzi con tipologie fisiche simili) dice molto. E venendo a noi, un ragazzo veloce di Bolzano o di Crotone trova più comoda e redditizia la strada per diventare un difensore di Lega Pro che un centometrista che possa sognare i Giochi Olimpici. E quindi anche quel poco che ogni tanto emerge, pensiamo a Filippo Tortu, ci sembra sempre un miracolo. Twitter @StefanoOlivari

Condividi

  • Link copiato

Commenti

Leggi Guerin Sportivo
su tutti i tuoi dispositivi