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Da Howe a Meucci, la nazionale degli assolti

Da Howe a Meucci, la nazionale degli assolti

Redazione

27.04.2016 ( Aggiornata il 27.04.2016 10:11 )

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L'atletica italiana si appresta a celebrare il ritorno alle gare di Alex Schwazer, fra meno di due settimane, nella Coppa del Mondo di Roma, sotto la guida di Sandro Donati: sulla sua vicenda e sulle modalità del suo ritorno, test alla presenza di tesserati FIDAL compresi (a questo proposito, nei giorni scorsi, sul Corriere dello Sport abbiamo letto che c'è una denuncia al CONI e alla WADA), c'è ancora tantissimo da dire e lo diremo, magari con il supporto di pareri tecnici autorevoli. Ma il clamore mediatico che circonda la storia del campione olimpico di Pechino nella 50 chilometri non deve far dimenticare il modo in cui si sta concludendo la vicenda Wherabouts. In estrema sintesi: si tratta dell'inchiesta che cinque mesi fa ha portato la Procura Antidoping della Nado-Italia, guidata da Tammaro Maiello, a chiedere due anni di squalifica per eluso controllo a carico di 26 atleti sui 65 coinvolti. Situazione che verso la fine del 2015 ha portato molti media a parlare dell'atletica italiana come di un covo di dopati, fra l'altro (aggiungiamo noi) i dopati più scarsi del mondo visto il numero di medaglie importanti degli ultimi anni. Con molta minore evidenza mediatica stanno invece arrivando le assoluzioni da parte del Tribunale Antidoping: all'ultimo conteggio sono già 13 (Meucci, Donato, Greco, Salis, Howe, Lalli, Pertile, Incerti, Secci, Faloci, Licciardello, Galvan, Collio) e anche per gli altri si sta profilando lo stesso finale. Come si intuisce dai nomi, tante situazioni diverse con atleti che saranno ai Giochi di Rio e altri di fatto ritirati. In sostanza si è trattato, come era evidente fin da subito, di un clamoroso caso di disorganizzazione da parte della federazione e dei gruppi militari che ne sono l'architrave, che non sapevano dove fossero i loro atleti e che avevano approntato modalità di comunicazione ormai ridicole (il fax! Oltretutto non funzionante...), con il concorso della negligenza degli atleti stessi che in molti casi avrebbero dovuto essere più svegli. Fra la superficialità e il doparsi c'è però una notevole differenza, che a qualcuno può sfuggire ma a chi si occupa di doping no. Intanto il fango è stato gettato su intere carriere e nessuno restituirà l'immagine a ragazzi che hanno avuto l'unico torto di non nascere in un paese africano o caraibico, dove il 'sistema' è qualcosa di più strutturato che da noi, dove il doping (che in parte esiste, non bisogna fare gli struzzi) è una scelta individuale. La vera domanda, sul finire di questa inchiesta, si può sintetizzare in una parola: perché?

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