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Tamberi e ciò che rimarrà di Portland

Tamberi e ciò che rimarrà di Portland

Redazione

21.03.2016 ( Aggiornata il 21.03.2016 09:46 )

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L'oro mondiale indoor di Gianmarco Tamberi nel salto in alto ha un peso specifico immenso, si può dire anche senza il doping del nazionalismo. Per il modo in cui è arrivato, cavandosela per ben due volte (a 2,29 e 2,33) al terzo salto, per la misura (2,36) di assoluta eccellenza con cui ha vinto, per il campo di partecipanti importante e perché il figlio d'arte marchigiano era un protagonista annunciato, situazione che di solito schiaccia gli atleti italiani. Parlare di medaglia ai Giochi di Rio, che comunque sono fra cinque mesi, non è strampalato e fa ancora più impressione nel contesto di un'atletica italiana dal livello medio bassissimo ma con qualche punta che ci permette di scrivere ancora di questo sport meraviglioso e giusto, dove a parità di talento naturale un ragazzo di un'isoletta sconosciuta ha quasi le stesse chance di successo di uno cresciuto in un grande paese con le mitiche 'strutture'. Per Rio magari sarà al massimo anche Fassinotti, senza dimenticare Chesani e una Alessia Trost che si sta ritrovando ma che inizia a vedersi passare davanti ragazze più giovani, come la diciottenne Vashti Cunningham. Si potrebbe pensare a una presunta 'scuola italiana del salto in alto', se non fosse che stiamo parlando di storie personali e sportive molto diverse, che semmai dimostrano l'utilità del decentramento e delle motivazioni individuali. Per i sogni olimpici abbiamo ancora qualche mese di tempo, al momento godiamoci questo oro in una manifestazione che propone il meglio del pianeta quasi soltanto nei salti. A Portland comunque hanno dominato nel medagliere i padroni di casa, con 13 ori e alcuni protagonisti entusiasmanti come Matt Centrowitz nei 1500, Berian negli 800, la Suhr nell'asta, Eaton nell'eptathlon (sua moglie Brianne Theisen, canadese, ha vinto l'oro nel pentathlon) e la Reese nel lungo. Fra le stelle da ricordare anche ovviamente Lavillenie e Genzebe Dibaba, mentre i 60 metri a livello mondiale non sono certo la dimensione della Schippers. Assenti i russi per i noti motivi, hanno deluso britannici e tedeschi, ma soprattutto sono quasi scomparsi i keniani, proprio nelle loro gare: il bronzo di Choge nei 3000 e quello della Wambui negli 800 fanno sono risultati da squadra che si sente (anche perché lo è) nel mirino di una IAAF che attraverso la lotta al doping vorrebbe far tornare l'atletica 'quella di una volta', cioè con qualche medaglia europea in più e un conseguente maggiore interesse di sponsor e televisioni.

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