Proposta, applicazione e sviluppo. La filosofia del grande
Barcellona poggia su questi tre termini e nasce, ironia del destino, sul campo degli eterni rivali. È il 2 maggio del 2009 e al Santiago Bernabeu il
Real Madrid di Juande Ramos e la squadra di
Guardiola giocano per la Liga. Un paio di mesi prima una conversazione privata tra
Carles Rexach e
Tito Vilanova ha gettato le basi per l'idea che rivoluzionerà il modo di giocare dei blaugrana e che farà proseliti sulle lavagne di tanti altri tecnici. Rexach è una bandiera della società, Tito il vice di Guardiola. I due sono molto amici. «
Perché non provi Messi al centro dell'attacco?» suggerisce il vecchio Charly. Vilanova è un po' scettico. Questo significherebbe spostare
Eto'o sulla corsia esterna, facendogli perdere del potenziale. Il camerunese, fino ad allora, aveva garantito un nutrito numero di reti. «
Però in questo modo Samuel potrebbe svariare su tutto il fronte e non essere utilizzato soltanto come terminale offensivo» pensa tra sé e sé l'allenatore. Vilanova comincia così a vedere i lati positivi della proposta. Conosce alla perfezione le straordinarie virtù di Leo Messi (lo ha cresciuto nelle giovanili) e si affretta a illustrare il nuovo metodo a Guardiola. Pep, in un primo momento, rifiuta. Poi si rende conto di non poter nulla contro l'insistenza di Tito e decide di plasmare la squadra seguendo quest'idea. Il "falso nueve" è pronto a scendere in campo nella partita contro il Real, che rischio.
Higuain porta le Merengues in vantaggio, ma è solo questione di minuti. Una rete di Henry permette al Barcellona di pareggiare, poi sarà assedio. I centrali - Cannavaro e Metzelder - non sanno come reagire. Messi non dà punti di riferimento, non c'è un "nove" classico. Eto'o manda tutti in confusione, è dove meno te lo aspetti. Buona parte della gara si gioca sull'asse centrale
Xavi-Messi. Finirà 6-2. Charly, Tito e Pep non lo sapevano ancora, ma stavano per scalare le più alte vette dell'Olimpo. Quell'anno il Barcellona riuscirà a far suo il primo "triplete" della storia. Vittoria in Liga, in Champions e in Copa del Rey. Negli anni successivi sarà sempre un crescendo di trionfi: altri due campionati, un'altra Champions, un'altra Copa del Rey, tre Supercoppe di Spagna, due Supercoppe europee e due Mondiali per club. Tutto questo dura fino al 2013, l'anno in cui Vilanova è costretto a lasciare la panchina - dopo aver sostituito Guardiola, che aveva deciso di prendersi un anno sabbatico - per l'aggravarsi delle condizioni di salute. La gloria terrena di Tito sarà spezzata da un brutto male l'anno successivo, qualche giorno dopo la domenica di Pasqua.
IL BARÇA DI GUARDIOLA E VILANOVA
L'espressione "tiki-taka" fu utlizzata per la prima volta da Andrés Montes, telecronista spagnolo de laSexta, durante il match tra Spagna e Tunisia al Mondiale tedesco del 2006. La ragnatela dei passaggi della Roja era talmente fitta che il giornalista, dalla tribuna stampa del Gottlieb-Daimler-Stadion di Stoccarda, con chiaro riferimento onomatopeico esclamò: «Estamos tocando tiki taka tiki taka». Il concetto del possesso palla è stato poi estremizzato dal Barcellona di Guardiola. Costruzione dell'azione dal basso, passaggi sicuri, nessuna intenzione di accelerare la manovra. Il centrocampo - mai dare a Pep calciatori tecnicamente mediocri in mediana, vedi anche al Bayern - ha l'obiettivo di addormentare il gioco, stancare i difensori avversari e approfittare dello spazio venutosi a creare per una disattenzione. Tenere sempre la palla tra i piedi e avere così il controllo della partita. Con Vilanova il Barcellona non cambia. È lo stesso allenatore a dichiararlo nella prima conferenza stampa (alla vigilia dello scontro con la Real Sociedad): «La differenza rispetto agli anni precedenti è la persona che trasmette il messaggio, non la filosofia. Cercherò di avere una linea di continuità». Qualche verticalizzazione in più e giusto un po' di conclusioni dalla distanza, a voler trovare le differenze con la squadra di Guardiola. Tito vincerà la Liga. Con 100 punti.
TATA, LUCHO E SUAREZ
Gerardo Martino è l'uomo scelto dalla dirigenza per iniziare il dopo Guardiola-Vilanova. Niente più tiki-taka. Il gioco è più diretto e vivace, ma non sarà una grande annata. Messi vivrà al di sotto dello standard abituale e il Barcellona non riuscirà a centrare l'ottava semifinale consecutiva in Champions. L'Atletico Madrid di Simeone condannerà il Tata agli ottavi e, non sazio, scipperà la Liga all'ultima giornata. Scontro diretto, 1-1 e festa colchoneros. Le cose cambiano nella stagione successiva con l'arrivo in panchina di Luis Enrique. Il distacco da Guardiola è netto, quella mentalità appartiene ormai al passato. L'asturiano si fa notare per la sua efficacia e per la particolare attenzione rivolta al contropiede. Esemplare è l'azione dello scorso gennaio che ha portato il Barça, nel ritorno dei quarti di Copa del Rey al Vicente Calderon ancora una volta contro l'Atletico, sul momentaneo 1-1. Messi in ripartenza becca Suarez, stop e lancio d'esterno dell'uruguaiano verso Neymar che, in solitaria, batte Oblak.
L'EREDITÀ
La portata storica dei concetti di Guardiola e Vilanova è arrivata anche in Italia. Nella prima parte della scorsa stagione Inzaghi aveva in Menez il suo falso nueve, Gasperini in Perotti, Montella e Pioli, in alcune partite, in Ilicic e Mauri. Ma la vera vittoria dei due allenatori spagnoli è arrivata al Mondiale brasiliano. Non basta un occhio esperto per trovare delle analogie tra il Barcellona di Pep e Tito e la Germania di Joachim Löw, tra Messi o Fabregas e Müller o Götze. Anche l’idea di Lahm a centrocampo è opera di Guardiola. Löw ha solo sfogliato gli appunti.
@damorirne