Nulla di personale contro la Danimarca, ma
Zlatan Ibrahimovic è nato nel 1981. Il che vuol dire, senza munirci di calcolatrice e se tutto andrà secondo i suoi piani, che prenderà parte all'
Europeo francese alla non più tenera età di quasi 35 anni. «
Impossibile immaginare questo torneo senza di me» aveva dichiarato il mese scorso sull'eventualità di un ko durante i playoff, il cui sorteggio qualche giorno dopo gli avrebbe regalato il derby scandinavo. E ha ragione. Sarebbe l'ultima grande occasione della carriera con la maglia della Nazionale. La selezione della
Svezia, anni luce lontana dall'ibrapensiero e dall'ibrarealtà, non gli ha permesso di partecipare al
Mondiale del 2010 né a quello del 2014 e, francamente, la sola possibilità di gettare al vento anche quest'opportunità raffigurerebbe il punto di non ritorno. Ibrahimovic è la morte della modestia, questo è chiaro a tutti, d'altra parte la lampante carenza nell'individuazione dei propri limiti ha contribuito alla produzione del fenomeno Zlatan. È il caso calcistico sociologicamente più interessante da dieci anni a oggi, sbruffone e sincero. Dice quel che pensa, infischiandosene delle conseguenze. È il nomade del pallone, al quale poco importa se il baldacchino del letto si trovi a Milano, Barcellona o Parigi. La missione è sempre una, vincere la
Champions. Inevitabilmente più franco del 99% dei colleghi, che accampano improbabili scuse per il più futile dei motivi. La carriera vissuta perennemente da individualista, con la naturale avversione verso chiunque abbia provato nel tempo a sentirsi minimamente utile alla causa del reparto, gli devolverà ugualmente il giusto congedo. Ripensate al suo trasferimento al
Barcellona, a posteriori un errore marchiano. Ci fregò, perché tutti pensavamo che avrebbe trasportato con violenza l'uragano delle abilità anche al Camp Nou, e invece non si rese subito conto che di fronte aveva - per carattere e filosofia di gioco - la negazione del proprio ego: la squadra più organizzata e concettualmente avanti degli ultimi anni. Del resto, nelle altre città che hanno avuto il piacere di accoglierlo qualcosina ha fatto vedere. È per questo che Ibra merita di chiudere nel migliore dei modi, perché resta ancora al top nella classifica dei più forti se si escludono
Messi e
Ronaldo, che praticano un altro sport.
@damorirne