Nicola Pietrangeli ci ha lasciati dopo 92 anni vissuti alla grande, tranne che negli ultimi tempi per i problemi di salute e soprattutto per la morte del figlio Giorgio. Tutti sanno chi fosse e cosa abbia vinto: primo italiano a conquistare un torneo del Grande Slam (il Roland Garros, due volte) e primo giocatore italiano ad avere una popolarità trasversale e internazionale (vero uomo di mondo, era di casa ovunque), anche se non fu certo il primo campione del nostro tennis, pensando a De Morpurgo, De Stefani e anche ovviamente a Beppe Merlo, più anziano di sei anni ma per qualche stagione arci-rivale di Pietrangeli, dal quale lo divideva quasi tutto.
Parlare di Pietrangeli significa parlare anche di Panatta e Sinner, cioè gli altri campioni che hanno segnato un'epoca del tennis italiano dal punto di vista non soltanto sportivo, ma anche sociale ed economico. Pietrangeli era di estrazione borghese e pur avendo la sua famiglia subito rovesci finanziari era in tutto e per tutto un prodotto del tennis dei circoli, che nella migliore delle ipotesi produceva finti dilettanti, campioni da Coppa Davis, visto che il professionismo era bandito dalla federazione internazionale e viverlo alla luce del sole significava rinunciare ai grandi tornei e appunto alla Davis, che per Pietrangeli era la cosa più importante di tutte al di là del suo record (164 partite fra singolare e doppio, di cui 120 vinte) imbattibile con il calendario di oggi ma mostruoso anche con quello di ieri.
Non si toglie nulla a Pietrangeli dicendo che molte sue vittorie sono da asteriscare, visto che in molte stagioni mancavano i teorici migliori 8 (tutto era teorico perché le classifiche non erano date dai punti ma da giudizi di giornalisti ed esperti) ed è insomma come se oggi i tornei dello Slam venissero vinti da Shelton e Draper. Ma non è colpa sua se i dirigenti dell'epoca erano ottusamente gelosi dell'orticello. Panatta e Sinner sono di estrazione sociale ben diversa, come diverso è il mondo del tennis in cui sono emersi, con tutti i suoi pro (a partire dai soldi) e i suoi contro. Certo è che i record di Panatta sono meno discutibili, pur nel caos organizzativo degli anni Settanta, e quelli di Sinner sono semplicemente indiscutibili se raportati al proprio tempo.
Pietrangeli, grazie al suo essere uomo di mondo e al suo carisma, è però riuscito nell'impresa di rimanere Pietrangeli anche nel dopo-tennis, da capitano di Coppa Davis e poi da icona, cosa che a Panatta è riuscita soltanto in parte e che dubitiamo riesca a Sinner, anche perché probabilmente non gli interessa. Non sono comunque un caso i battibecchi, sempre nel segno della civiltà, con Panatta e con i giornalisti-tifosi di Sinner, perché lo sport di PIetrangeli era quello a cui le persone davano il giusto peso, mentre quello di Sinner è quasi un valore in sé, qualcosa che attraverso i fuoriclesse riscatta le nostre vite mediocri. In mezzo a queste due visioni Panatta, che l'epoca dei gesti bianchi l'ha sfiorata ma che è riuscito a vivere la prima fase dell'ATP. Con Pietrangeli scompare quindi un uomo che sintetizzava un mondo, un tennis, un'epoca, che non abbiamo vissuto ma che è stato bello mitizzare. Persona gentilissima, intervistata tante volte (l'ultima due anni fa per il Guerin Sportivo) e mai banale anche se per forza di cose non poteva sempre essere originale,
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