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Addio alla Nazionale: ragioni e torti di Mancini© LAPRESSE

Addio alla Nazionale: ragioni e torti di Mancini

Le clamorose dimissioni da allenatore della Nazionale meritano qualche chiarimento, al di là del suo futuro. Perché lui verso l'uscita è stato spinto...

Stefano Olivari

16.08.2023 08:41

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Il retroscena più clamoroso delle dimissioni di Roberto Mancini da allenatore della Nazionale è che non c’è alcun retroscena. Dall’intervista che l’ex commissario tecnico ha concesso a Xavier Jacobelli e Fabrizio Patania, per il Corriere dello Sport, lo si capisce chiaramente: non c’è stato un singolo episodio scatenante, ma uno stato d’animo che Mancini covava da mesi ed un atteggiamento di Gravina formalmente corretto ma che nei fatti si è tradotto in una serie di attestazioni di sfiducia. La nomina a supervisore dell’Under 21 e Under 20 era insomma una scatola vuota, come si era capito subito con Nunziata all’Under 21 al posto dell’Evani spinto da Mancini. In attesa dell’ufficializzazione di Spalletti, o di un altro se non ci fosse il beau geste da parte di Spalletti di pagarsi da solo la clausola di non concorrenza o di De Laurentiis di rinunciare all’indennizzo, proviamo a fare ordine sul caso calcistico dell’estate italiana, con gli argomenti pro Mancini e quelli contro.

 Pro Mancini. Uno: Non è mai stato un uomo di Gravina, che del resto non lo aveva nemmeno scelto visto che Mancini è arrivato durante il commissariamento delle FIGC: il suo grande sponsor è semmai Malagò, mentre Gravina lo ha sempre utilizzato come parafulmini sia nel momento del trionfo ad Euro 2020 sia in quello del fallimento mondiale. Due: giocare e possibilmente vincere il Mondiale con l’Italia era la sua ossessione, nessuna cifra vale per lui la panchina azzurra e di sicuro il suo travaglio interiore è sincero, e la sua decisione è stata meditata. Mentre scriviamo queste righe si è forse già pentito delle dimissioni. Tre: la megaofferta dell’Arabia Saudita, attualmente senza c.t., è importante soltanto per chi non conosce Mancini ed il suo modo di lavorare, prediligendo un gruppo di amici (a volte ai confini dello yesman) a situazioni più ricche ma anche più fredde. Può essere benissimo che fra pochi giorni accetti le offerte arabe, ma negli ultimi anni sarebbe potuto andare, e non gratis, nel PSG della situazione o in altri grandi club. Quattro: la ristrutturazione delle squadre nazionali ufficializzata il 4 agosto è stata concordata con Mancini fino a un certo punto. Ha avuto il match analyst Gagliardi, presente anche a Euro 2020, è riuscito a trattenere l’amico Salsano, con Lombardo quando Lombardo non sarebbe stato impegnato con l’Under 20, ma ha perso Nuciari ed Evani e ha subìto le entrate, di nomina federale, di Barzagli, Bollini e ovviamente Buffon. La carica di supervisore di Under 21, dove al di là di Evani non avrebbe voluto Nunziata, e Under 20 è sembrata più una cosa da mettere sul biglietto da visita che un incarico effettivo. Quinto: Mancini non è ricattabile, rispetto all'uomo di calcio medio può permettersi di mandare al diavolo chiunque anche soltanto per antipatia.

Contro Mancini. Uno: le dimissioni andavano date dopo la sconfitta con la Macedonia nel playoff per Qatar 2022: da allora Mancini ha cambiato più volte linea, diviso fra la riconoscenza per chi ha vinto e convocazioni a volte provocatorie, come Pafundi, o la stessa operazione Retegui. Due: le dimissioni in ogni caso non andavano date a Ferragosto, a meno di un mese da due delicate partite di qualificazione europea, costringendo la FIGC ad una scelta precipitosa, al di là del valore di Spalletti, Conte, eccetera. Tre: un allenatore federale non può pretendere di avere collaboratori tutti nominati da lui, non funziona come in un club. Deve, a maggior ragione a 59 anni, saper lavorare non soltanto con gli amici. Come caso estremo viene in mente il Vicini di Italia ’90, che aveva un rapporto di fiducia soltanto con Brighenti e che si limitava alla forma con De Sisti, Rocca e Cesare Maldini, per non parlare di Bearzot che ancora era sotto contratto con la FIGC e di un Matarrese che non vedeva l’ora di ingaggiare Sacchi. Quattro: l’Italia allargata non la sentiva più sua, ma era stato lui a volerla. Durante i suoi 5 anni di gestione 105 convocati, dei quali ben 57 esordienti in azzurro. Ecco, nemmeno i più ottimisti possono pensare che il calcio italiano abbia prodotto 10 nuovi campioni a stagione nelle ultime 5 stagioni. Mancini lascia quindi una squadra con pochi punti fermi, non una buona eredità per il suo successore.  

E quindi? La tempistica delle dimissioni di Mancini è stata sbagliata, anche se ha una giustificazione nel cambio di staff subito ad inizio agosto. Ma si può dire che la FIGC lo abbia spinto verso l’uscita, facendo poi fare mediaticamente a lui la parte del cattivo. E se firmerà per l'Arabia Saudita, o per un grande club, diventerà cattivisimo dopo anni di statue equestri.

stefano@indiscreto.net

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