        &nbsp; La prima volta non si scorda mai. Nella vita, come nel calcio. Sessant'anni fa, l'Atalanta portava a casa il suo primo trofeo ufficiale: la Coppa Italia, vinta il 2 giugno del 1963 nella finale disputata allo stadio San Siro di Milano. I nerazzurri affrontarono e batterono nettamente il Torino, festeggiando un trofeo strameritato. Gli uomini di Paolo Tabanelli furono protagonisti di una grande stagione, culminata con l&rsquo;ottavo posto in serie A e con il successo nella coppa nazionale. Era l'Atalanta di Pizzaballa, il portiere dalla figurina introvabile; di Domenghini, nato nella provincia di Bergamo e lanciato nel grande calcio dal club nerazzurro; di Da Costa, che dopo gli anni alla Roma ha ritrovato a Bergamo una seconda giovinezza. Una squadra guidata sapientemente da Tabanelli, che dopo le esperienze con Sampdoria, Bari e Spal, trova a Bergamo una squadra in grado di apprendere nel dettagli i suoi dettami tattici. &nbsp; Il cammino in Coppa Italia L'Atalanta gioca una grande Coppa Italia, onorando al massimo la competizione sin dai primi turni. Nella gara inaugurale i bergamaschi battono ed eliminano il Como, al termine di una sfida equilibrata e decisa nei tempi supplementari. Dopo l'iniziale vantaggio (gol di Da Costa e Domenghini), l'Atalanta viene raggiunta dai lombardi. Nell'extra time decidono la sfida il secondo centro di Domenghini e la rete finale di Nova. Nel secondo turno gli uomini di Tabanelli eliminano il Catania, grazie ad una doppietta di Christensen. Si arriva cos&igrave; ai quarti di finale. I nerazzurri sconfiggono 2-0 il Padova, trascinati dai gol di Da Costa e Calvanese. Le due semifinali vedono affrontarsi Atalanta e Bari e Torino-Verona. I bergamaschi regolano i pugliesi 1-0 grazie ad una rete di Da Costa, mentre i granata si impongono 2-1 sul Verona. La finale &egrave; prevista il 2 giugno in campo neutro, allo stadio Meazza di San Siro.&nbsp;  &nbsp; Domenghini decisivo in finale&nbsp; Tabanelli deve rinunciare a Da Costa, ma punta tutto sull'estro di Larsen e sull'esplosivit&agrave; di Domenghini. I due atalantini sono i pi&ugrave; intraprendenti ed in grado di mettere in seria difficolt&agrave; la difesa granata. Il Torino, guidato da Giacinto Ellena, schiera Bearzot (futuro ct azzurro campione del mondo nel 1982) in difesa, davanti a Lido Vieri (pap&agrave; di Christian). I granata partono forte e creano il primo pericolo con un incursione di Hitchens. Ma alla prima occasione, l'Atalanta va subito a segno: calcio di punizione battuto dal limite dell'area da Larsen e colpo di testa perfetto sul secondo palo di Domenghini, che anticipa Bearzot e batte Vieri. Il Torino prova a reagire, ma va a sbattere contro la difesa atalantina. Nella ripresa, dopo quattro minuti, arriva il raddoppio: Magistrelli, ala sinistra dell'Atalanta, supera con un pallonetto Buzzacchera, terzino del Torino, ma poco prima di calciare viene anticipato da Domenghini, che al volo insacca la rete del 2-0. L'ala bergamasca si ripete all'82', siglando il terzo gol al termine di uno slalom perfetto e dopo aver superato anche Vieri in uscita. A poco serve il gol della bandiera granata, arrivato due minuti dopo con Ferrini, che dal limite lascia partire un tiro che si spegne nell'angolo basso alla destra di Pizzaballa; l'Atalanta pu&ograve; far festa.       

Era il 2 giugno 1963 il giorno quando la Dea guidata da Tabanelli conquist&ograve; il primo e al momento ultimo trofeo: la Coppa Italia contro il Torino in finale

Domenghini fa tris, l’Atalanta prende la prima coppa

        Una favola da raccontare ai pi&ugrave; piccoli, a chi ancora non c'era o non &egrave; aiutato dalla memoria: il cammino trionfale del&nbsp;Vicenza nella stagione 1996-97. Un'impresa ulteriormente rafforzata se si pensa al caos che travolse il club durante quell'annata. I vertici della societ&agrave; cambiarono pi&ugrave; volte in seguito al sequestro delle azioni della Otto S.r.l, finanziaria a capo del club. Una situazione che avrebbe sminuito qualsiasi ambiente, ma che in quel caso, forse, stimol&ograve; un gruppo di uomini che superarono ogni aspettativa. Il direttore d'orchestra &egrave; un giovane&nbsp;Francesco Guidolin, giunto sulla panchina vicentina due anni prima, per riportare il club nella massima serie dopo 16 anni di assenza. Si capisce fin da subito che i biancorossi hanno tutte le carte in regola per ripetere l'ottima annata precedente, quando, trascinati dai gol del bomber Otero, si erano piazzati a soli 5 punti dalla zona Uefa. &Egrave; proprio il ragazzo di Montevideo a siglare uno storico poker contro la Fiorentina di Batistuta, che consente ai suoi di espugnare il Franchi nella prima giornata di campionato. Ma il Vicenza, che comunque nel torneo si toglier&agrave; la soddisfazione di battere anche Juve, Inter e Milan, la storia la scrive in Coppa Italia.  Il Vicenza nella Coppa Italia 1996-97 Dieci giorni prima dei quattro gol di Otero ai viola, i ragazzi terribili di Guidolin conquistano gli ottavi di finale vincendo 2-1 al Porta Elisa contro la Lucchese. Il primo gol della gara lo segna Maurizio Rossi: segnatevi bene questo nome. Il successivo 23 ottobre l'avversario da superare &egrave; il Genoa di Attilio Perotti. Per la prima e unica volta &egrave; stata introdotta nella competizione la modalit&agrave; della ripetizione: solo nel secondo e terzo turno, seguendo il modello della FA Cup inglese, in caso di pareggio, le squadre devono rigiocare il match. Al Ferraris, due rigori di Viviani (V) e Masolini (G) rimandano il destino al replay del Menti, dove un sigillo di&nbsp;Giovanni Cornacchini&nbsp;regala la qualificazione al Vicenza. Passano solo sei giorni, questa volta il livello si alza: nel giro di due settimane capitan Lopez e compagni si giocano tutto contro i campioni d'Italia in carica del Milan. Battuti Milan e Bologna tra quarti e semifinale Tra i rossoneri gioca un ragazzo nato a Caldogno, che ai veneti deve tanto: ha esordito proprio con i biancorossi, di nome fa Roberto, di cognome Baggio. &Egrave; proprio il Divin Codino nazionale a pareggiare la gara d'andata alla Scala del Calcio. Il match l'aveva sbloccato&nbsp;Gabriele Ambrosetti&nbsp;con un sinistro al fulmicotone. Lui ancora non lo sa, ma il suo gol &egrave; quello che porter&agrave; la squadra in semifinale: nel ritorno il portiere di coppa Brivio chiude la porta e salva lo 0-0. Battuto il Milan, nel gruppo si comincia a pensare per la prima volta che si pu&ograve; compiere l'impresa, in citt&agrave; c'&egrave; profumo di gloria. Ora i ragazzi di Guidolin ci credono. Nel frattempo il 1996 ci saluta: un anno fantastico per i tifosi vicentini. La squadra occupa la seconda posizione in campionato ed &egrave; alle semifinali di Coppa Italia.&nbsp;Il grande appuntamento &egrave; in programma il 30 gennaio: una fitta nebbia, per&ograve;, rimanda tutto di una settimana. Finalmente il 6 febbraio il Menti si colora a festa: un'atmosfera fantastica, con tanto di fuochi d'artificio, fa da cornice perfetta. Vicenza e Bologna possono giocare il primo atto della semifinale. Al 45' del primo tempo decide un ruggito di bomber&nbsp;Murgita: l'attaccante stacca pi&ugrave; in alto di tutti sulla pennellata di Beghetto. La rete del numero 9 pone i ragazzi di Gudolin in una situazione di leggero vantaggio nel ritorno al Dall'Ara. Cristiano Scapolo per&ograve; non ci sta e pareggia la doppia sfida al 43'. Quando i supplementari sono ad un passo, l'ex di turno, Giovanni Cornacchini, fa esplodere il settore ospiti: per la prima volta nella sua storia il Vicenza &egrave; in finale di Coppa Italia. Dall'altra parte del tabellone il Napoli batte l'Inter raggiungendo l'undici biancorosso.  Vicenza-Napoli: la finale di Coppa Italia 1996-97 Il primo round dell'ultimo atto si gioca la sera dell'8 maggio in un San Paolo infuocato. Uno stadio stracolmo trascina gli azzurri alla vittoria: decisiva una zampata di&nbsp;Fabio Pecchia. I giorni di attesa per la gara di ritorno sono snervanti. Ma una citt&agrave; intera vuole un trofeo, quella coppa che la sera del 29 maggio si trova l&igrave;, a bordo campo, in attesa di un capitano che la alzi verso il cielo. L'undici di Guidolin che sfila accanto al trofeo &egrave; cos&igrave; disposto: Brivio in porta; Sartor, Beghetto e capitan Lopez in difesa; Ambrosetti, Di Carlo, Gentilini, Maini e Viviani a centrocampo; Murgita e Cornacchini davanti. Si gioca in una cornice stupenda, il Romeo Menti &egrave; esaurito in ogni ordine di posto e dalle gradinate il pubblico spinge la squadra verso la gloria. Dopo pochi giri d'orologio Guidolin &egrave; costretto al cambio: si fa male Ambrosetti e viene sostituito dal giovane Iannuzzi. Al 21', lo stesso minuto in cui aveva segnato Pecchia all'andata,&nbsp;Jimmy Maini&nbsp;buca Taglialatela e mette in parit&agrave; il doppio confronto. La gara, come nel pi&ugrave; teso degli epiloghi, si protrae ai supplementari. Proprio quando sembra ormai tutto apparecchiato per i calci di rigore, Mimmo Di Carlo guadagna una punizione dal limite. Lopez tocca per Beghetto, la conclusione non &egrave; irresistibile, ma Taglialatela non trattiene: come un falco arriva&nbsp;Maurizio Rossi&nbsp;a mettere dentro. Quello che dovevate tenere a mente, colui che aveva segnato la prima rete della competizione. Il popolo vicentino esplode di gioia e un Napoli in piena confusione capitola ancora grazie alla rete di&nbsp;Alessandro Iannuzzi. L'arbitro Braschi fischia tre volte decretando il Vicenza campione. Francesco Guidolin ha guidato un fantastico gruppo verso la pi&ugrave; grande impresa del club, capitan Lopez pu&ograve; finalmente alzare al cielo il primo trofeo della storia vicentina.        

Guidati da un giovane Francesco Guidolin, i biancorossi vinsero il primo (e unico) trofeo della loro storia, battendo il Napoli nelle doppia finale

Vicenza: il 29 maggio 1997 lo storico trionfo in Coppa Italia

        L&rsquo;11 giugno del 1989 allo Stadio Tardini di Parma va in scena uno scialbissimo pareggio senza reti, nel match valido per la 37esima gara del campionato di Serie B. I padroni di casa galleggiano a met&agrave; classifica, al termine di una stagione anonima in cui hanno ottenuto ben 21 pareggi. Ecco, se in quel lontano e afoso pomeriggio di inizio estate qualcuno avesse detto ad un qualsiasi tifoso del Parma che meno di tre anni dopo la sua squadra del cuore avrebbe vinto il suo primo trofeo contro la Juventus, sarebbe stato preso per pazzo. Eppure &egrave; andata proprio cos&igrave;, anche se per arrivare alla vittoria della Coppa Italia del 1992, bisogna fare qualche passo indietro. Il capolavoro di Scala Nell&rsquo;estate del 1989 Ernesto Ceresini decide di fare l&rsquo;ultimo regalo al suo Parma e alla sua gente.&nbsp;Affida la panchina a Nevio Scala, fresco reduce di una grande cavalcata verso la Serie A della sua Reggina, conclusasi sfortunatamente ai calci di rigore nello spareggio contro la Cremonese.&nbsp;A disposizione del tecnico padovano arrivano Zoratto, Ganz, Catanese e Pizzi, tutti interpreti che si riveleranno fondamentali. Il presidente se ne andr&agrave; a febbraio, non riuscendo purtroppo a vedere i risultati dei suoi ultimi sforzi.&nbsp; Con quella squadra i ducali salgono infatti subito in Serie A, conquistando la possibilit&agrave; di giocare nel nostro massimo campionato per la prima volta in quasi ottant&rsquo;anni di storia. Al termine di quella stagione arriva un&rsquo;ulteriore ottima notizia: la societ&agrave; viene acquistata dalla Parmalat di Calisto Tanzi, uno degli imprenditori pi&ugrave; importanti d&rsquo;Italia, che far&agrave; vivere ai giallobl&ugrave; i momenti pi&ugrave; gloriosi della storia del club. Grazie a ottimi investimenti sul mercato, il Parma diventa una vera e propria corazzata, piazzandosi al sesto posto nella sua stagione d&rsquo;esordio in Serie A. &Egrave; un risultato eclatante, che vale ai ducali l&rsquo;accesso alla Coppa Uefa.&nbsp;  Il cammino in Coppa Italia Ma &egrave; l&rsquo;anno successivo che la squadra emiliana alza il suo primo trofeo, dopo un entusiasmante cammino in Coppa Italia. Cammino che inizia da molto lontano, il 28 agosto del 1991 per l&rsquo;esattezza, quando i ducali affrontano il Palermo nel 2&deg; turno del torneo. Dopo aver superato i siciliani, gli emiliani archiviano Fiorentina, Genoa e Sampdoria, rispettivamente agli ottavi, quarti e in semifinale. Dall&rsquo;altra parte del tabellone approda in finale l&rsquo;avversario pi&ugrave; ostico che si possa incontrare, la Vecchia Signora del calcio italiano: la Juventus del Trap.&nbsp; La finale ed il trionfo&nbsp; Nel 1992 la Coppa Italia segue ancora la vecchia formula secondo la quale anche la finale si assegna con un doppio confronto. Il primo incontro si disputa il 7 maggio del 1992 allo Stadio delle Alpi: il sogno giallobl&ugrave; sembra infrangersi contro la corazzata juventina quando al 23&rsquo; della prima frazione Roberto Baggio trasforma un penalty portando i suoi sull&rsquo;1-0. La partita termina con questo risultato, in attesa del ritorno del Tardini, che si gioca il 14 maggio, appena una settimana dopo. Trapattoni sceglie di giocarsi questi secondi 90 minuti con un atteggiamento iperdifensivo, preoccupandosi pi&ugrave; di tamponare le sortite parmensi che di creare gioco. La strategia si riveler&agrave; fallimentare: i ducali, spinti dal pubblico di casa, giocano una partita eccezionale sotto il punto di vista qualitativo e quantitativo. Benarrivo e Di Chiara imperversano continuamente in avanti, Cuoghi e Brolin sono due spine nel fianco della retroguardia bianconera. La Juve gioca palesemente per lo 0-0, e il forcing giallobl&ugrave; si infrange spesso contro Angelo Peruzzi, portierone bianconero a cui si aggrappano gli juventini in pi&ugrave; di un&rsquo;occasione. Alla fine del primo tempo arriva per&ograve; la svolta: Osio serve Melli che solo in area di rigore insacca in rete con un ottimo colpo di testa, portando il Parma in vantaggio e pareggiando il risultato dell&rsquo;andata. Il Tardini esplode, il popolo giallobl&ugrave; ci crede. Con il gol del Parma la partita si sblocca, e i bianconeri, costretti a non accontentarsi pi&ugrave; del pari, iniziano a farsi vedere dalle parti di Ballotta, ravvivando il match. I ragazzi di Scala accettano la sfida, giocano a viso aperto e poco prima del ventesimo del secondo tempo raddoppiano: Melli, Cuoghi e Osio confezionano un&rsquo;azione deliziosa che porta quest&rsquo;ultimo ad insaccare con un gran mancino. &Egrave; l&rsquo;inizio della festa al Tardini che, trepidante d&rsquo;attesa, vivr&agrave; una vera e propria apoteosi al fischio finale. Il Parma si porta a casa il suo primo storico trofeo nazionale, contro la squadra che ne ha vinti di pi&ugrave; in assoluto.&nbsp; Se adesso qualcuno tornasse da quel tifoso presente al Tardini l&rsquo;11 giugno del 1989, e gli dicesse che quella sar&agrave; non solo la prima, ma anche la &ldquo;meno prestigiosa&rdquo; delle coppe che il Parma sfogger&agrave; in bacheca di l&igrave; a qualche anno, questa volta probabilmente ci crederebbe.&nbsp;  Parma-Juventus 2-0 del 14 maggio 1992: il tabellino PARMA:&nbsp;Ballotta, Benarrivo, Di Chiara, Minotti, Apolloni, Grun, Melli, (40&rsquo; st Agostini), Zoratto I, Osio, (40&rsquo; st Pulga), Cuoghi, Brolin. A DISP.: Taffarel, Nava, Catanese. ALL.: Scala JUVENTUS:&nbsp;Peruzzi, Luppi, Marocchi, De Agostini L., (28&rsquo; st Conte I), Kohler, Carrera, (21&rsquo; st Di Canio), Galia, Reuter, Schillaci, Baggio, Casiraghi. A DISP.: Tacconi, Alessio, Corini. ALL.: Trapattoni ARBITRO: Baldas (Trieste). &nbsp;MARCATORI:&nbsp;45&rsquo; Melli , 16&rsquo; st Osio.         

Per i ducali fu il primo di una lunga serie di trofei. La squadra dell&rsquo;allenatore padovano super&ograve; la Juve del Trap per 2-0 nella finale di ritorno, ribaltando il risultato dell&rsquo;andata

14 maggio 1992, il Parma di Nevio Scala vince la Coppa Italia

        Anche l&rsquo;edizione della Coppa Italia 1964-65 ha visto nel suo atto finale sfidarsi Juve e Inter. Non &egrave; la prima volta che un Derby d&rsquo;Italia assegna la coppa nazionale: qualche anno prima infatti, nel 1959, Inter e Juve si incontrarono e a sfangarla furono sempre i bianconeri.&nbsp;&Egrave; il 29 agosto del 1965. L&rsquo;Italia sportiva a dire il vero &egrave; concentrata su un altro evento: la disastrosa caduta a Robbiano dei nostri migliori ciclisti, nella penultima gara di preparazione per i mondiali. Gimondi, Taccone e Adorni ne escono infortunati, gettando nello sconforto milioni di appassionati in un tempo in cui il ciclismo era il primo, autentico sport nazionale, in grado di oscurare anche gli accadimenti calcistici.  Heriberto contro Helenio La partita viene giocata a Roma, in uno Stadio Olimpico dove accorrono circa 50.000 spettatori, per lo pi&ugrave; tifosi del sud Italia, nonostante qualche polemica dell&rsquo;ultima ora da parte dei due club, che avrebbero senza dubbio preferito una location pi&ugrave; vicina. La sfida sulle panchine vede confrontarsi i due omonimi Herrera che non potrebbero venire da momenti pi&ugrave; diversi. Helenio, tecnico dell&rsquo;Inter, nell&rsquo;ultima stagione ha trionfato in tutte le competizioni che ha disputato: campionato, Coppa dei Campioni e Coppa Intercontinentale; la Coppa Italia sarebbe la ciliegina sulla torta che anticiperebbe quel record arrivato solamente nel 2010. Heriberto dall&rsquo;altra parte, tecnico che godeva di una certa antipatia da parte dell&rsquo;ambiente e della stampa, sino a quel momento poteva fregiarsi di ben pochi meriti, anzi. &Egrave; proprio l&rsquo;inflessibile e rigido allenatore paraguaiano che rompe con l&rsquo;istrionico Sivori, allontanando il Cabez&oacute;n dalla Juventus e facendolo accasare a Napoli, lasciando interdetti tutti i tifosi juventini. La vittoria della Coppa servirebbe a entrambi, a Heriberto per far ricredere chi lo considera un visionario, e a Helenio per far tacere tutte quelle polemiche nate dopo la disastrosa amichevole di Barcellona della settimana precedente, dove l&rsquo;Inter &egrave; uscita sconfitta in malo modo.  La vittoria di Menichelli, romano e bianconero La Grande Inter, forse appagata dalle numerose vittorie, scende in campo senza il piglio delle grandi occasioni, lasciando ai bianconeri il pallino del gioco, soprattutto a centrocampo. La Juventus dal canto suo, orfana di Sivori, fa del gioco corale il suo punto di forza, non fa spiccare nessuna individualit&agrave; e i suoi attaccanti, lenti e lontani dalla manovra, ne sono l&rsquo;esempio pi&ugrave; lampante. Il vantaggio degli uomini di Heriberto viene infatti dal centrocampo: Del Sol imbuca Menichelli ma la palla &egrave; lunga e finisce tranquillamente tra le braccia di Sarti che, sfortunatamente, urta Bedin e perde la sfera. &Egrave; proprio l&rsquo;ala bianconera a gettarsi per prima sul pallone e a insaccarlo in rete, tutto questo al 15esimo minuto del primo tempo. Menichelli segna dunque nel suo vecchio stadio, lui romano, che all&rsquo;Olimpico ha tirato i primi calci al pallone da professionista alla fine degli anni &rsquo;50. L&rsquo;Inter, sfilacciata e mai davvero in partita, non riesce a impensierire i bianconeri, forti di una difesa rocciosa formata da Castano, Bercellino e Salvadore. L&rsquo;uomo pi&ugrave; ispirato della formazione juventina &egrave; senza dubbio Del Sol, che ben coadiuvato da Cinesinho rappresenta una vera e propria spina nel fianco della difesa nerazzurra. Perlomeno fin quando al 30&rsquo; della ripresa non pensa bene di dar vita a un vero e proprio duello rusticano con Burgnich: i due vengono alle mani, vola qualche cazzotto e finiscono sotto la doccia prima del tempo. L&rsquo;ultimo quarto d&rsquo;ora vede un&rsquo;Inter pi&ugrave; aggressiva, ringalluzzita dall&rsquo;espulsione dello spagnolo, che si fa vedere con pericolosit&agrave; dalle parti di Anzolin. Alla fine l&rsquo;estremo difensore bianconero verr&agrave; salvato dal palo, che lo assiste su una conclusione di Jair che sembrava destinata a finire in rete. La partita termina cos&igrave; sull&rsquo;1-0. Il trofeo, il quinto della storia bianconera, finisce tra le grinfie di Heriberto Herrera, che si prende la sua prima, piccola rivincita su tutti i diffidenti oltre che sui suoi detrattori.        

La squadra del Mago venne sconfitta dai bianconeri grazie a un gol di Giampaolo Menichelli in uno Stadio Olimpico gremito

Juve-Inter, nel 1965 la Coppa Italia la vinse Heriberto Herrera

        Non &egrave; davvero stata la serata di Dusan Vlahovic, in campo dove ha avuto soltanto un&rsquo;occasione da gol e fuori dove il Franchi gli ha indirizzato cori senza senso, per non dire di peggio. Con fischi per cos&igrave; dire naturali ed altri con l'utilizzo di fischietti: cose gi&agrave; viste e soprattutto sentite con Berti, Baggio e Batistuta. Chiss&agrave; cosa penserebbero, molti dei fischiatori, se loro figlio dovesse scegliere fra una carriera nella Juventus e una nella Fiorentina: ci ripetiamo, ma il problema non &egrave; Vlahovic che lascia la Fiorentina ma il sistema che non consente alla Fiorentina di competere per lo scudetto. La Juventus con 9 assenti ha sofferto contro la la squadra di Italiano ed un vitalissimo Ikon&eacute;, ma ha portato a casa una vittoria in cui non credeva nemmeno lei, grazie all&rsquo;autogol di Venuti nel finale: considerando il peso del gol in trasferta le baster&agrave; non suicidarsi al ritorno del 20 aprile (o dintorni) per raggiungere la finale di Coppa Italia. Anche se la Fiorentina ha giocato meglio e avuto pi&ugrave; occasioni, questa &egrave; una vittoria che ha il marchio del miglior Allegri, cio&egrave; la capacit&agrave; di adattarsi alle situazioni: cambiando modulo all&rsquo;inizio, con il 3-5-2, e ricambiandolo nel secondo tempo con un 4-4-2 che ha un po&rsquo; fatto respirare la Juventus, eccellente nei difensori (soprattutto De Ligt) e con una prova davvero da Barcellona di Arthur. Come sta Mario Balotelli? A tre settimane dai playoff per andare al Mondiale se lo chiede anche Mancini, che almeno come arma della disperazione a partita in corso potrebbe utilizzarlo. Dopo il Covid e qualche altro problema fisico, in gennaio, &egrave; tornato titolare nell&rsquo;Adana Demirspor e sta facendo il suo nella squadra allenata da Montella e che ha come capitano Inler, quinta nel campionato turco ma a soli 4 punti dalla qualificazione ai preliminari di Champions. Di sicuro ha una buona autostima, Balotelli, visto che al sito The Athletic, da poco comprato dal New York Times, ha detto di non invidiare niente a Messi e Cristiano Ronaldo e che se fosse rimasto nel City avrebbe potuto vincere il Pallone d&rsquo;Oro. Il trentunenne attaccante bresciano ammette di avere fatto qualche sbaglio ed il punto &egrave; proprio questo, come ben sa chi lo conosce oltre l&rsquo;ufficialit&agrave;: Balotelli in carriera ha mai commesso grossi sbagli ed &egrave; di base un bravo ragazzo, a dispetto della fama ha fatto fuori dal campo meno stupidaggini di colleghi celebrati e protetti mediaticamente. Il suo problema come calciatore &egrave; che si &egrave; lasciato andare, fidandosi solo del talento naturale: gli ultimi suoi allenamenti intensi risalgono proprio ai tempi del City di Mancini. Non gliene importa cos&igrave; tanto, e questo dal punto di vista calcistico &egrave; pi&ugrave; grave di una serata in discoteca. Le statistiche applicate al calcio sono spesso una forzatura, visto che in questo sport il valore relativo del singolo episodio &egrave; enorme, per&ograve; qualcosa dicono sulla qualit&agrave; del lavoro degli allenatori. A questo punto della Serie A, tenendo conto di expected goal e assist, la squadra che crea pi&ugrave; situazioni pericolose a partita &egrave; l&rsquo;Inter con 3,15 di media, davanti a Lazio (3,04), Atalanta (2,88), Verona (2,78), Napoli (2,70), Milan (2,48), Fiorentina (2,42), Roma (2,30), Sassuolo (2,22) e Juventus (2,19). E quella che ne subisce meno? La miglior fase difensiva &egrave; quella dell&rsquo;Inter (0,92 situazioni pericolose subite a partita), seguita da Napoli (1,04), Juventus (1,33), Milan (1,41), Torino (1,62), Roma (1,63), Atalanta (1,65), Fiorentina (2,00), Bologna (2,04), Udinese (2,23), Verona (2,26), Sassuolo (2,33) e Lazio (2,41). Numeri utili per capire non chi vincer&agrave; una partita, perch&eacute; per quello &egrave; sufficiente un autogol, ma per valutare un allenatore ed il suo rendimento in rapporto al budget. &nbsp; &nbsp;       

La Juventus davvero da Allegri, l'autostima di Balotelli e le statistiche a volte utili.&nbsp;

Fischietti per Vlahovic

        Fiorentina-Juventus non &egrave; mai stata una partita come le altre. La rivalit&agrave; affonda le sue radici addirittura negli anni &rsquo;20, quando la Vecchia Signora umili&ograve; i viola battendoli per 11-0, esattamente il 7 ottobre del 1928. Da l&igrave; in poi la storia di questa sfida ha vissuto numerose tappe, come ad esempio la celebre semifinale di Coppa Italia del 1960/1961.&nbsp; Hidegkuti contro Parola&nbsp; Le due formazioni il 10 maggio del 1961 si affrontano in gara unica per determinare chi approder&agrave; in finale. Albertosi contro Mattrel, Da Costa contro Charles, ma soprattutto Hidegkuti (affiancato da Chiappella) contro Parola (affiancato da Gren) definiscono bene il livello dell&rsquo;incontro. I due allenatori, anche se con storie diametralmente opposte, sono delle vere leggende viventi: l&rsquo;ungherese alla guida della Viola faceva parte della Squadra d&rsquo;Oro che stup&igrave; il mondo negli anni &rsquo;50, rivoluzionando tra l&rsquo;altro completamente il ruolo di centravanti e schierandosi qualche metro arretrato, inventando con buoni 50 anni di anticipo il moderno falso nove. Dall&rsquo;altro lato Carlo Parola non ha bisogno di molte presentazioni: arcigno ma elegante difensore, raggiunse grande notoriet&agrave; pi&ugrave; o meno 10 anni prima proprio in un Fiorentina-Juventus, quando venne immortalata la sua celeberrima rovesciata poi ripresa e stilizzata sugli album di figurine Panini. Inoltre, lo scontro offre un interessante spunto: la&nbsp;Viola &ndash; attesa una settimana dopo anche dalla finale di Coppa delle Coppe &ndash; vuole assolutamente vendicare la finale di Coppa Italia della stagione precedente, persa proprio contro la Juve solo dopo i tempi supplementari (3-2). Dominio viola Al Comunale di Firenze l&rsquo;ambiente &egrave; molto pi&ugrave; che caldo: oltre ai numerosi tifosi di casa, &egrave; presente un ben nutrito gruppo di supporters juventini, storicamente sempre presenti in ogni luogo d&rsquo;Italia dove gioca la Vecchia Signora. Ciononostante l&rsquo;inerzia della partita &egrave; tutta in mano alla Fiorentina sin dalle primissime battute. I padroni di casa incalzano i bianconeri, con Robotti in difesa che annulla letteralmente un troppo timido Fascetti, e un Da Costa in avanti che semina scompiglio nella retroguardia juventina. Approfittando della superiorit&agrave; in mezzo al campo, la Viola passa in vantaggio al 17&rsquo; con Milan e prima della mezz&rsquo;ora rischia addirittura il raddoppio. Dall&rsquo;altra parte la Juventus, nonostante le difficolt&agrave;, riesce ad agguantare il pareggio grazie alla rete dal dischetto di Mora al 33esimo minuto. Le due formazioni vanno a riposo sull&rsquo;1-1, anche se &egrave; evidente che il risultato &egrave; destinato ben presto a cambiare. Dopo appena 6 minuti infatti &egrave; la Viola ad approfittare di un penalty e passare in vantaggio con Marchesi. Da l&igrave; in poi il dominio della Fiorentina si fa sempre pi&ugrave; evidente, fino alla chiosa di Da Costa, che firma il 3-1 e consegna ai suoi le chiavi per accedere alla finalissima. Una stagione indimenticabile con l'accoppiata Coppa Italia-Coppa delle Coppe Un ultimo atto che vedr&agrave; la squadra allenata da Hidegkuti trionfare contro la Lazio un mese pi&ugrave; tardi. Grazie al successo, la Fiorentina metter&agrave; in bacheca una storica accoppiatta: la vittoria in Coppa Italia era infatti stata preceduta dalla conquista della Coppa delle Coppe, primo e unico trofeo internazionale della storia viola.&nbsp;         

In quell&rsquo;occasione venne scritto l&rsquo;ennesimo capitolo di una storica rivalit&agrave; del nostro calcio, a spuntarla furono i viola&nbsp;

Fiorentina-Juventus: la sfida in semifinale di Coppa Italia del 1960/1961

        La paura di perdere ha dominato la prima semifinale di Coppa Italia, un Milan-Inter che la squadra di Pioli ha iniziato meglio e in generale giocato meglio, contro i nerazzurri apparsi in riserva fisica molto pi&ugrave; che nelle ultime gi&agrave; non brillanti prestazioni. Un atteggiamento figlio della lotta scudetto ancora da definire, il ritorno sar&agrave; fra quasi due mesi e tutti andranno in campo pi&ugrave; leggeri, che non ha prodotto un risultato netto ma che certo favorisce il Milan visto che con il gol in trasferta a valere doppio (in Coppa Italia per l&rsquo;ultimo anno &egrave; cos&igrave;) lo 0-0 dell&rsquo;andata &egrave; per la squadra di casa un buon risultato. Ma al di l&agrave; della stagione del Milan, che forse prender&agrave; una direzione definitiva dopo la partita con il Napoli di domenica sera, a far discutere &egrave; l&rsquo;attacco dell&rsquo;Inter. Zero gol nelle ultime quattro partite disputate (Liverpool, Sassuolo, Genoa e appunto Milan) e adesso anche pochi tiri, con Lautaro Martinez che non guarda pi&ugrave; la porta, cos&igrave; come la sua alternativa Sanchez, mentre Dzeko al di l&agrave; dell&rsquo;et&agrave; non sta pi&ugrave; andando oltre il suo ruolo di centro-boa. Nel derby &egrave; rientrato Correa dopo 40 giorni, di sicuro potr&agrave; essere pi&ugrave; utile ad Inzaghi del Caicedo intravisto in allenamento e in quei pochi minuti di partita. Un calo fisico simile a quello del centrocampo, dove Barella davvero non ce la fa pi&ugrave;, con Brozovic e Calhanoglu comunque in difficolt&agrave;, che si &egrave; trasformato in un calo tecnico. La scelta di Inzaghi, gi&agrave; venerd&igrave; sera contro la Salernitana, &egrave; quella fra scelte drastiche e una continuit&agrave; che a questo punto della stagione ha portato ad un primo posto (virtuale) in classifica. La sua storia di allenatore, partita sul serio grazie all&rsquo;involontario aiuto di Bielsa, dice che sceglier&agrave; la continuit&agrave;, con qualche rilancio (Correa) al momento giusto. Non ci ricordiamo una squadra campione d&rsquo;Italia che subito dopo lo scudetto abbia ceduto i suoi due giocatori migliori, ma all&rsquo;Inter con Lukaku e Hakimi &egrave; successo esattamente questo: parliamo di uno degli attaccanti pi&ugrave; forti del mondo (non in questo momento), partner ideale di Lautaro Martinez, e di uno di quei pochi esterni che senza bisogno di schemi spacchi le partite. Quando calano le condizioni atletiche e non si pu&ograve; pi&ugrave; attingere al serbatoio del gioco, si entra in una zona in cui servono i colpi. Certo Lukaku e Hakimi sono partiti per motivi finanziari, se l&rsquo;Inter ha ossigeno fino al 2023 il merito &egrave; anche della loro partenza. Tornando al campo, stiamo parlando della squadra che crea pi&ugrave; situazioni pericolose in Serie A, secondo ogni indicatore (dai mitologici expected goal alle loro sofisticazioni con assist e altro), quindi di una squadra che va valutata oltre le ultime impressioni. Certo l&rsquo;ultima &egrave; stata brutta. &nbsp;       

La squadra di Simone Inzaghi esce dal derby di andata di Coppa Italia dando ancora una volta la sensazione di essere stanca. Al di l&agrave; dei pochi tiri in porta...

L'Inter senza Lukaku

        La magia del calcio e l&rsquo;arbitraggio creativo di Bergamo ci hanno regalato una semifinale di Coppa Italia fra Juventus e Fiorentina, che impone di mettere Dusan Vlahovic in copertina. Si giocher&agrave; su andata e ritorno e dubitiamo che il serbo in caso di rigore per la Juventus si rifiuti di tirarlo, come oltre tre decenni fa accadde a Roberto Baggio. Del resto tutta l&rsquo;operazione che ha fatto girare la stagione bianconera &egrave; nata da una precisa volont&agrave; dell&rsquo;attaccante, che vuole competere per i massimi traguardi. Il problema &egrave; il sistema che non permette pi&ugrave; ad una Fiorentina di sognare lo scudetto, non un ragazzo di talento che giustamente fa i propri interessi. Contro il Sassuolo Vlahovic ha giocato un&rsquo;ottima partita, cos&igrave; come un Dybala ringalluzzito dal suo arrivo e dal contratto in scadenza, trascinando il resto della squadra tranne Arthur. Non che Allegri abbia fatto invenzioni: un 4-2-3-1 parente strettissimo del 4-4-2, e attesa delle invenzioni dei pi&ugrave; bravi. L'importante &egrave; che i pi&ugrave; bravi ci siano.&nbsp; Il club bianconero &egrave; interessato alla Champions League di oggi (fra 11 giorni l&rsquo;andata degli ottavi contro il Villarreal) ma soprattutto a quella di domani, i cui termini finanziari sono stati svelati da una lettera mandata da Nasser Al Khelaifi ai membri dell&rsquo;ECA. Il presidente del PSG, successore all&rsquo;ECA di Agnelli dopo il disastroso tentativo di blitz per la Superlega, ha anticipato che nel triennio 2024-2027 la Champions incasser&agrave; almeno 5 miliardi di euro a stagione, cifra non lontana da quella mitica di JP Morgan per la Superlega. Ancora indefinita la formula, ma gi&agrave; con alcune certezze: 36 squadre invece delle 32 attuali, minimo 10 partite sicure invece delle 6 attuali, abolizione dei gironi per far posto ad una classifica unica, poi eliminazione diretta, come oggi, ma non con 16 qualificate immediate. Agli ottavi andranno infatti le prime 8 della classifica per cos&igrave; dire generale, pi&ugrave; le 8 vincenti di 8 spareggi per chi si classificher&agrave; dalla posizione 9 a quella 24 (in altre parole sedicesimi di finale ma non per tutti). Da valutare semifinali e finali con la formula Final Four, come desiderato da Ceferin. La Superlega &egrave; quindi morta? Dal punto di vista sportivo e finanziario s&igrave;. Ma da quello legale il monopolio organizzativo della UEFA ha basi davvero molto fragili. Tornando alla Coppa Italia, cosa sta succedendo all&rsquo;Atalanta, al netto dell&rsquo;arbitraggio di Fabbri e di una semifinale che era senz&rsquo;altro alla portata? Dalla fine della sua Champions, quindi dalla sconfitta del 9 dicembre contro il Villarreal, la squadra di Gasperini non &egrave; stata pi&ugrave; la stessa. Poche prestazioni all&rsquo;altezza della propria fama, qualche sconfitta clamorosa tipo quelle con Roma e Cagliari, un rendimento casalingo scadente, infortuni (Zapata su tutti) e situazioni indefinibili come quella di Ilicic che non sono state tamponate da un buon calciomercato di gennaio, anche se Boga e Mihaila hanno prospettive. Qualche anno fa Percassi avrebbe firmato per una Europa League facile ogni stagione, mentre adesso le aspettative si sono alzate anche se le stelle della squadra guadagnano meno (nessuno arriva ai 2 milioni netti, nemmeno Zapata) del ventesimo giocatore della rosa di Juventus e Inter. Esaltazione e critiche dovrebbero essere sempre coerenti con il potenziale.&nbsp;       

Le semifinali di Coppa Italia, la Champions League a 36 squadre e le aspettative sull'Atalanta...

Vlahovic e il rigore di Baggio

        Coppa Italia 1998/99, ai quarti di finale, dopo un tortuoso cammino, si incontrano Atalanta e Fiorentina. Allora la formula della competizione era molto lontana da quella che &egrave; diventata oggi, e arrivare in fondo non &egrave; per niente scontato. I bergamaschi prima della Fiorentina hanno dovuto superare nell&rsquo;ordine la Cremonese, l&rsquo;Empoli e la Roma, un risultato davvero straordinario per una formazione che in quella stagione milita in serie cadetta, galleggiando tra l&rsquo;altro a met&agrave; classifica. Dall&rsquo;altra parte i toscani hanno superato agevolmente il Padova e il Lecce nei sedicesimi e negli ottavi di finale, e in campionato lottano per il vertice trascinati da Batistuta e Edmundo. L&rsquo;andata a Bergamo Il 2 dicembre del 1998, all&rsquo;Atleti Azzurri d&rsquo;Italia, va dunque in scena la prima parte della doppia sfida dei quarti di finale. Le due compagini danno vita ad una partita frizzante, affrontandosi a viso aperto senza eccessivo zelo difensivo. Dopo appena otto minuti gli ospiti vanno in vantaggio grazie allo sfortunato autogol di Rustico, a cui risponde Torricelli che, con un altro autogol, mette la partita sull&rsquo;1-1. Prima della fine del primo tempo Edmundo porta in vantaggio i suoi, rischiando in un paio di occasioni di aumentare ancora il divario. L&rsquo;Atalanta resiste stoicamente e nella ripresa la ribalta con i gol di Rossini e Carrera, portando a casa la vittoria. Quella sar&agrave; una delle poche pagine positive di una stagione da dimenticare. La seconda manche Pi&ugrave; di un mese dopo, esattamente il 28 gennaio del 1999, Fiorentina e Atalanta si affrontano nella gara di ritorno all&rsquo;Artemio Franchi. I viola sono in uno splendido momento di forma, lottano per le primissime posizioni in campionato e non vogliono macchiare il buon cammino in coppa uscendo con una formazione di Serie B. L&rsquo;approccio al match &egrave; completamente diverso da quello dell&rsquo;andata, con le squadre pi&ugrave; guardinghe e meno scoperte. Dopo appena 9 minuti Robbiati porta in vantaggio i suoi con il gol che vale la qualificazione. Finir&agrave; 1-0 per la Fiorentina, che si aggiudica il passaggio in semifinale.       

Dopo il 3-2 dell&rsquo;andata a favore della Dea, una rete di &ldquo;Spadino&rdquo; nel ritorno permise alla Viola di eliminare i bergamaschi ai quarti &nbsp;

Atalanta-Fiorentina, quando Robbiati regalò la semifinale di Coppa Italia a Trapattoni 

        Un uomo d&rsquo;altri tempi, un gentiluomo che ha attraversato sessant&rsquo;anni di storia del calcio. Gigi Simoni da Crevalcore, da giocatore ha disputato 11 partite con la Juventus e vinto una Coppa Italia con il Napoli. Ala sinistra di raccordo, ha avuto un grande maestro, Edmondo Fabbri che lo volle al Mantova. Maestro poi lo sarebbe diventato. Maestro di cerimonie e promozioni. Sette quelle completate dalla Serie B alla A con il Genoa (1975-76 e 1980-81), il Brescia (1979-80), il Pisa (1984-85 e 1986-87), la Cremonese (1992-93) e l&rsquo;Ancona (2002-03). A Cremona ha vinto anche il Torneo Anglo-Italiano del 1993, con tanto di finale a Wembley. Ha allenato 17 squadre, compresa una puntata in Bulgaria al CSKA Sofia. Tutti ricordano l&rsquo;anno e mezzo all&rsquo;Inter, ma prima di accettare l&rsquo;offerta di Moratti aveva portato il suo stile gentile sulla panchina del Napoli. A Napoli &Egrave; il 1996, la societ&agrave; ha s&igrave; il bilancio ma non ha tanti soldi da spendere sul mercato. Con le cessione di Tarantino e Buso, che valgono insieme 10 miliardi, programma praticamente tutta la stagione. La squadra, sufficientemente scaramantica da evitare di assegnare il numero 17, compie un piccolo miracolo. Simoni tenta anche la difesa a zona per tre partite, ma va male e torna al suo piccolo mondo antico. Libero staccato, marcature a uomo, contropiede. Perch&eacute; il calcio, dice, non &egrave; mai cambiato troppo. &Egrave; convinto che la gran parte degli &ldquo;zonisti&rdquo; mentano, che la voglia di vincere conti pi&ugrave; dei numeri. Il suo calcio ha due regole, contatto con la palla e libert&agrave;: la vera fatica si fa in allenamento. Nel primo mese lo accusano di perdere tempo, di non preparare gli schemi. Ma rassicura i critici e i tifosi lo seguono. Prepara la conoscenza per trovare la giusta posizione per tutti. Simoni inventa Cruz regista, convince Beto di essere un mediano e non una grande star, rende Aglietti protagonista in attacco. Piace al pubblico e al presidente Ferlaino, che lo va a trovare in ritiro e passa con lui lunghe notti a guardare video di calcio. Hanno entrambi un grande sogno, portare al Napoli Alvaro Recoba che per&ograve; &egrave; gi&agrave; promesso all&rsquo;Inter. Saranno proprio i nerazzurri a far crollare tutto. Esonero amaro Perch&eacute; dopo un epico quarto di finale contro la Lazio (vittoria all&rsquo;andata e pareggio al ritorno in nove contro undici), elimina proprio l'Inter in semifinale. Ferlaino, per&ograve;, esonera il tecnico che ha gi&agrave; firmato con i nerazzurri e l&rsquo;ha detto anche alla squadra. Il Napoli, dopo un girone d&rsquo;andata con medie scudetto, &egrave; scivolato nella seconda met&agrave; della classifica per i troppi pareggi e un po&rsquo; di sfortuna, come la decisione dell&rsquo;arbitro di convalidare il gol di mano di Milan Rapai? del Perugia. Simoni sarebbe potuto diventare il primo a vincere la Coppa Italia da giocatore e da allenatore al Napoli, ma paga l&rsquo;onest&agrave; che l&rsquo;ha sempre caratterizzato. Torner&agrave; a Napoli nella stagione 2003-04, in Serie B. Subentra dopo tredici giornate ad Andrea Agostinelli e riesce anche a salvare la squadra sul campo prima del fallimento. L'Inter Una grande occasione, la gioia e il rammarico. L&rsquo;Inter di Ronaldo per Simoni vuol dire sedersi su una fuoristrada, godersi il lusso di sognare in grande. Il tecnico, si legge sul sito nerazzurro, &laquo;ha incarnato l&rsquo;interismo pi&ugrave; genuino&raquo;. Un signore che ha incontrato un campione da leggenda, fuori scala per tutti, anche per i compagni. Fulminante una battuta di Walter Zenga. &laquo;Simoni pu&ograve; usare un solo schema: palla a Ronaldo e tutti ad abbracciarlo&raquo;. La sua Inter &egrave; antica e moderna. Usa ancora il libero, e come si potrebbe fare altrimenti avendo in squadra un Bergomi ancora integro, mette Moriero nella condizione di vivere la sua miglior stagione di sempre, rivaluta Aaron Winter e quasi vince lo scudetto. La stagione 1997-98 si chiude con un&rsquo;estate duplice, chiaroscurale. &Egrave; l&rsquo;estate del contatto in area Iuliano-Ronaldo e della sua reazione pi&ugrave; scomposta, il &laquo;si vergogni&raquo; scandito all&rsquo;arbitro Ceccarini continuando comunque a dargli del lei. Ma &egrave; anche l&rsquo;estate della conquista di Parigi. Il 6 maggio 1998, si legge ancora sul sito dell&rsquo;Inter, &laquo;disegn&ograve; il suo capolavoro da allenatore. Imbrigli&ograve; una grande Lazio e non le diede scampo. Al Parco dei Principi Zamorano, Zanetti e Ronaldo regalarono all&rsquo;Inter la terza Coppa Uefa in una notte dolcissima e magica&raquo;. Moratti per&ograve; vuole un&rsquo;Inter d&rsquo;attacco, ma il secondo anno, nonostante l&rsquo;arrivo di Roberto Baggio, non inizia bene. Il 30 novembre 1998, Simoni parte per Coverciano dove ritirer&agrave; la Panchina d&rsquo;Oro. I nerazzurri hanno rifilato uno scintillante 3-1 al Real Madrid e battuto anche la Salernitana in settimana. &laquo;Speriamo che non sia un premio... alla memoria&raquo;. Sembra una battuta, &egrave; un presentimento. Moratti lo esonera la sera stessa. E se ne pentir&agrave;. &nbsp;       

Con lui in panchina gli azzurri eliminarono i nerazzurri nella semifinale di Coppa Italia 1996-97.&nbsp;Nella stagione successiva pass&ograve; al comando proprio dei milanesi con cui vinse la Coppa Uefa&nbsp;

Gigi Simoni, l'allenatore gentiluomo tra Napoli e Inter

        Valentin Angelillo arriva nella Roma della Dolce Vita per colpa della sua dolce vita. Uno dei tre angeli dalla faccia sporca (con Sivori e Maschio, arrivati tutti insieme in Italia nel 1957), all&rsquo;Inter ha segnato 33 gol nel 1958-59, record imbattuto nella Serie A a 18 squadre, con accanto Firmani, Bicicli e il giovane Corso. In quegli anni, si innamora di una ballerina divorziata, Ilya Lopez, che si esibisce al night &ldquo;Porta d&rsquo;Oro&rdquo;. I tifosi arrivano anche a inseguirla, e lei perde il bambino che sta aspettando. Sono lontani i tempi di una visita a Sanremo, ospiti di Moratti, insieme anche a Pesaola, che mette su un bar improvvisato davanti al casin&ograve;. Herrera lo schiera sempre meno. Non gioca nemmeno a San Siro, il 15 gennaio 1961, contro la Roma di &ldquo;Piedone&rdquo; Manfredini, che lo conosce da sempre e gli lascia balenare l&rsquo;idea di passare in giallorosso. Angelillo, figlio di un macellaio di origine italiana, i cui nonni lucani emigrarono da Rapone, cresciuto all&rsquo;Arsenal come Alfredo Di Stefano e passato al Racing Club poi al Boca prima di venire in Italia, ci pensa eccome. Anacleto Gianni, il presidente che sogna il grande colpo, completa la trattativa per 230 milioni. Angelillo, uno Schiaffino pi&ugrave; giovane, completa un tridente che apre sogni inattesi per i tifosi con Lojacono e Manfredini, uno dei suoi primi ammiratori. In Italia, Angelillo ha imparato tutto tranne come giocare a pallone, quel calcio dell&rsquo;anima &egrave; figlio di quella storia sudamericana in cui il calcio &egrave; un&rsquo;armonia e un&rsquo;allegria del tango. In Italia, per&ograve;, individua la sua vera posizione: centravanti con Stabile in nazionale, crea gioco come mezzala arretrata. IN GIALLOROSSO. In quattro stagioni a Roma, vince una Coppa delle Fiere e la prima Coppa Italia nella storia giallorossa, anche se manca il suggello dello scudetto. Angelillo, ha detto Giacomo Losi in un intervento a Roma Radio in occasione della morte dell&rsquo;italo-argentino, scomparso il 5 gennaio 2018 al policlinico Le Scotte di Siena, &laquo;era una grande persona, un ottimo compagno di squadra: non era difficile essere suo amico. &Egrave; stato un calciatore fortissimo e intelligente, un sudamericano atipico. Ce n&rsquo;erano pochi come lui: era un giocatore a tutto campo, era lui a iniziare le azioni, aveva una grande personalit&agrave;. Era uno degli ispiratori del gioco della squadra, quando non sapevi cosa fare bastava affidargli la palla&raquo;. Gioca poi nel Milan e nel Lecco, per poi allenarsi con l&rsquo;Almas, la squadra dilettantistica guidata da Naim Krieziu, che era stato suo allenatore in giallorosso. Il suo impegno non sfugge al Milan che lo richiama: con tre presenze nel 1967-68, diventa campione d&rsquo;Italia. E la storia si chiude.       

In quattro anni di passione a Roma ha vinto la Coppa delle Fiere del 1961 e la prima Coppa Italia del club

Angelico, bomber giallorosso tra tango e dolce vita

Il 4-0 con cui la Juventus ha battuto il Milan nella finale dell&rsquo;Olimpico ha dato ai bianconeri la quarta Coppa Italia nelle ultime quattro stagioni, cosa che a chi segue il calcio soltanto dal 2014 pu&ograve; magari sembrare scontata: in fondo &egrave; logico che la squadra pi&ugrave; forte d&rsquo;Italia oltre allo scudetto vinca anche un trofeo giocato su poche partite, con le avversarie forti solo negli ultimi turni (non &egrave; il caso del 2017-18, visto che la Juve non ha incrociato nessuna fra Napoli, Roma, Lazio e Inter), pur con tutte le incertezze dell&rsquo;eliminazione diretta. E invece il risultato di Allegri non &egrave; soltanto notarile statistica, ma una vera e propria impresa.  Nelle 71 edizioni della sua travagliata storia, senza entrare nel merito dei cambi di formula e di data, la nostra coppa nazionale soltanto 11 volte &egrave; stata vinta dalla squadra che nella stessa stagione &egrave; stata campione d&rsquo;Italia: il Torino 1942-43, la Juventus 1959-60, il Napoli 1986-87, la Juventus 1994-95, la Lazio 1999-2000, l&rsquo;Inter 2005-2006 (da asteriscare, perch&eacute; lo scudetto le sarebbe stato assegnato a tavolino per Calciopoli), l&rsquo;Inter 2009-2010 e, appunto, la Juventus nelle ultime 4 stagioni. L&rsquo;unico caso, di questi 11, in cui nella stagione &egrave; stata vinta anche una coppa europea &egrave; stato quello dell&rsquo;Inter del Triplete di Mourinho. &Egrave; in ogni caso evidente che nell&rsquo;era moderna il Double all&rsquo;italiana &egrave; molto meno raro che in passato, segno la Coppa Italia &egrave; diventata nel corso degli anni sempre meno un trofeo di consolazione, per diversi motivi.  Il primo: le finali e in generale gli ultimi turni si sono nell&rsquo;ultimo trentennio quasi sempre giocati con il campionato ancora in corso o appena finito. L&rsquo;ultima coppa Italia assegnata con l&rsquo;estate gi&agrave; iniziata risale al 28 giugno 1989, quando la Sampdoria di Vialli (citato non a caso, perch&eacute; la finale di ritorno si disput&ograve; allo Zini di Cremona, visti i lavori per Italia &rsquo;90 a Marassi) batt&egrave; il Napoli di Maradona. &Egrave; chiaro che pi&ugrave; si va verso le vacanze pi&ugrave; la tensione di chi ha vinto lo scudetto cala. Secondo motivo: le squadre pi&ugrave; forti hanno rose sempre pi&ugrave; ampie e un maggior numero di giocatori veri fra le riserve, la Juventus B probabilmente se la giocherebbe per il secondo posto in campionato. Per&ograve; a questo giro la Juventus B si &egrave; vista solo nell&rsquo;ottavo con il Genoa e in parte nel quarto con il Torino: nelle semifinali con l&rsquo;Atalanta e a maggior ragione con il Milan &egrave; stata schierata la migliore Juventus possibile.  Terzo motivo: la Coppa Italia &egrave; diventata qualcosa di molto importante a livello televisivo, come prova anche il contratto firmato con la Rai per il trienno 2018-2021 (35,5 milioni a stagione, pi&ugrave; 60% rispetto all&rsquo;accordo precedente). &Egrave; l&rsquo;unica isola di grande calcio di club trasmesso in chiaro, a parte qualche finestra per Champions ed Europa League, con tutto quel che ne consegue in termini di popolarit&agrave; e fidelizzazione. I risultati Auditel per la finale sono stati clamorosi: 10.583.000 spettatori sintonizzati su Rai 1, per uno share del 39,2%. Con l&rsquo;appassionato tiepido che non &egrave; certo stato incollato allo schermo fino al 90&rsquo;&hellip; Quarto motivo: la distanza fra le squadre medie e quelle grandi &egrave; aumentata, e a dire il vero negli ultimi anni &egrave; aumentata anche quella fra la Juventus e le altre grandi tradizionali. Una volta giocare al 90% poteva non bastare: inimmaginabile nel 2018 vedere una finale di Coppa Italia vinta dall&rsquo;ottava squadra di serie A (il Vicenza di Guidolin) contro la tredicesima (il Napoli che aveva appena esonerato Simoni e che in panchina aveva Montefusco) come accadde nel 1997. A tutte queste situazioni la Juventus di quest&rsquo;anno ha aggiunto la rabbia per l&rsquo;eliminazione dai quarti di Champions League e alcune motivazioni dei singoli (Buffon e Allegri, mai visto cos&igrave; carico: anche troppo) ben oltre l&rsquo;importanza della Coppa Italia.&nbsp; 

La vittoria della Juventus in finale sul Milan e il suo clamoroso risultato Auditel confermano la buonissima salute di quello che una volta era un trofeo di consolazione. &Egrave; solo l&#39;undicesima volta, su settantuno, che lo vince la squadra campione d&#39;Italia...

Allegri e l&#39;importanza della quarta Coppa Italia

Tutto secondo pronostico al Forum: Milano dopo 20 anni alza la Coppa Italia davanti a un palasport non gremito, ma neanche vuoto e festeggia la fine di un digiuno che la scorsa stagione (vero annus orribili, per definizione di Proli) era stato totale.&nbsp;Milano &egrave; apparsa la squadra pi&ugrave; solida delle otto impegnate nelle Final Eight. Per la profondit&agrave; del roster, ma anche per il gioco espresso: si comincia a vedere la mano di coach Repesa, che si concede anche il lusso di qualche esperimento contro Venezia e contro Cremona. Una squadra che &ldquo;ama correre e che non riesce ancora a rimanere concentrata per tutta la partita&rdquo; &ndash; Portaluppi dixit &ndash; ma che ha anche saputo costruire le sue vittorie grazie al predominio a rimbalzo e a una difesa la cui intensit&agrave; &egrave; cresciuta man mano che gli avversari sono andati in difficolt&agrave;. L&rsquo;Olimpia di Repesa: squadra dura che non molla mai neanche quando gli avversari sono alle corde.  A farne le spese la prima sera &egrave; stata Venezia, apparsa senza capo n&eacute; coda e con un atteggiamento davvero dimesso in campo. Green e Goss non sono riusciti a guidare la squadra e neanche a dare un solido contributo offensivo, mentre da Ress, abilissimo a gettare la croce di tutti mali della Reyer addosso al suo ex coach in sala stampa, probabilmente De Raffaele si aspettava qualcosa di pi&ugrave; di 0 punti e 0 rimbalzi in 20 minuti di gioco.  Se Venezia non &egrave; stata in grado di impensierire Milano, poco di pi&ugrave; ha fatto Cremona, giunta senza Vitali e probabilmente stanca alle Final Eight. La squadra di coah Pancotto &egrave; andata presto fuori giri, senza riuscire a gestire con attenzione i possessi in attacco e con il solo Cusin a cercare di arginare lo strapotere dei lunghi avversari.  Pi&ugrave; avvincente, anche se sempre con l&rsquo;Olimpia in vantaggio, la finale giocata da Milano contro la Scandone. Avellino al momento &egrave; la squadra pi&ugrave; in forma nel lotto delle inseguitrici, ma proprio contro Milano ha dimostrato grossi limiti a rimbalzo, dove Buva e Cervi non sono riusciti ad arginare la propensione della squadra meneghina a recuperare palloni. Limiti anche fisici con Green e Ragland che hanno subito chili e centimetri di Jenkins, dell&rsquo;MVP della finale Sanders (forse il migliore dei 5 mori che hanno fatto grande Sassari lo scorso anno) e la leadership di Cinciarini. Proprio &ldquo;il Cincia&rdquo;, risultato tra i migliori dei suoi, sembra aver ripreso quel processo di maturazione che tanto lo aveva fatto crescere a Reggio Emilia, ma che si era interrotto con il suo passaggio, pi&ugrave; difficoltoso del previsto, in quel di Milano. Menzione d&rsquo;onore per l&rsquo;idolo delle folle &ndash; soprattutto femminili &ndash; di Milano: Bruno Cerella, vero gladiatore e interprete del gioco di Repesa e dello spirito delle scarpette rosse. Mai domo e sempre pronto a giocare, &egrave; sceso in campo 24 ore dopo la rimozione in artroscopia di un menisco interno del ginocchio rotto ai quarti contro Venezia. Nove in pagella al chirurgo, ma 10 all&rsquo;argentino che ha dimostrato cosa vuol dire voler star in campo.  Milano esce da queste finali con la consapevolezza di essere la prima forza del campionato. Repesa ha plasmato la squadra a sua immagine e somiglianza, al di l&agrave; gioco veloce e dell&rsquo;aggressivit&agrave; difensiva colpisce l&rsquo;intensit&agrave; con cui i suoi uomini tengono il campo e l&rsquo;impatto che anche chi esce dalla panchina ha sulla partita. Sicuramente delle buone premesse in vista del rientro di capitan Gentile, ancora infortunato, con il rimpianto che se i nuovi innesti e la quadratura del cerchio fossero arrivati prima, l&rsquo;Olimpia avrebbe avuto un altro rendimento anche in Europa.  Al termine della finale il Presidente Marino si &egrave; detto felice della partecipazione del pubblico e del successo della manifestazione. Ma qualcosa da rivedere in realt&agrave; c&rsquo;&egrave; e forse se ne &egrave; accorto anche lui. Nonostante i miracoli tentati dalla regia della RAI sono apparsi evidenti i tanti spazi vuoti tra le poltroncine del Forum il giorno della finale e le tribune deserte del primo giorno. L&rsquo;evento in se non ha attirato il grande pubblico e se Milano non fosse arrivata in finale anche la finale sarebbe andata deserta. Probabilmente &egrave; la formula che non alimenta molto interesse negli appassionati di basket. Non c&rsquo;&egrave; un percorso per arrivare a giocarsi le finali, ma al contrario, un diritto acquisito dalla classifica del girone di andata &ndash; riservato a mezza serie A - per giocare poi, come in questo caso, un mese e mezzo dopo. Come risultato, le partite interessano i tifosi delle squadre in campo ma non abbastanza da spingerli a sobbarcarsi le spese della trasferta. La formula dei tre giorni poi non aiuta: chi pensa che la propria squadra non superer&agrave; il primo turno preferisce guardarla alla tv e chi invece spera nella finale si muove solo per l&rsquo;ultima partita. Probabilmente una formula simile a quella adottata nella Coppa Italia del calcio, con una prima fase ad eliminazione diretta, potrebbe essere pi&ugrave; seguita e aprirebbe la Coppa Italia, almeno nella prima fase, a tutte le squadre di A e A2. Ridestare l&rsquo;interesse quindi, svegliando un gigante addormentato, prima che nel sonno che diventi vecchio.  Twitter:&nbsp;@luigi_ceccon

Cerella eroe di una Coppa Italia da risvegliare

Final Eight di Coppa Italia di Basket: tutti al Mediolanum Forum di Milano, o almeno si spera. Grande entusiasmo, come &egrave; giusto che sia, alla presentazione della edizione 2016 delle Final Eight di Coppa Italia di basket, di scena a Milano&nbsp;in casa Olimpia. La Lega ha come obiettivo di superare le 18.000 presenze complessive, per una media di 6.000 a giornata. Considerando che si gioca in un impianto che pu&ograve; contenere pi&ugrave; di 12.000 spettatori, e che in queste occasioni nelle presenze sono contati anche i tanti biglietti omaggio distribuiti, la stima appare molto conservativa.  Il tabellone vede Reggio Emilia (1) accoppiata con la sorpresa Avellino (8), Milano (2) con Venezia (7), Cremona (3) con Sassari (6) e Pistoia (4) con Trento (5). Le posizioni sono state fissate alla fine del girone di andata, nel frattempo qualcosa &egrave; cambiato tanto che gli accoppiamenti aggiornati all&rsquo;ultima di campionato sarebbero ben diversi.&nbsp;Utilizzando l&rsquo;ultima classifica come indicatore dello stato di forma delle squadre Reggio Emilia, che nel frattempo ha perso una posizione in classifica incontrer&agrave; Avellino, attualmente quarta che non perde da 7 turni e ha messo in riga, tra le altre, Trento, Pistoia, Milano e proprio Reggio Emilia. Non proprio un bel cliente. Va meglio a Milano, diventata prima, che incontra Venezia in piena crisi: la Reyer &egrave; al nono posto, fresca di esonero di Coach Recalcati e al momento pare la squadra pi&ugrave; debole del lotto. Cremona &egrave; salita al secondo posto in campionato e deve fare i conti con i problemi al piede di Vitali vero motore della squadra, ma giunto al limite di sopportazione di un dolore che non lo lascia dall&rsquo;inizio del campionato. La Dinamo nel frattempo &egrave; scesa in settima posizione, anche se pare aver recuperato una certa solidit&agrave;, dimostrata in casa di Venezia con la vittoria all&rsquo;overtime: probabilmente il match &egrave; pi&ugrave; aperto di quello che i valori sembrano indicare. Pistoia e Trento hanno scalato entrambe una posizione, ma verso il basso, con la squadra di Esposito che mantiene i favori del pronostico, visti anche i numerosi problemi di infortuni patiti ultimamente dalla truppa di Coach Buscaglia.  La formula prevede scontri ad eliminazione diretta, per vincere il trofeo servono tre vittorie, chi si ferma prima va a casa. Si comincia il venerd&igrave; (con tutti e quatto i quarti di finale), proprio con Pistoia - Trento, all&rsquo;ora di pranzo, poi Vanoli Cremona contro i campioni in carica di Sassari, Reggio Emilia contro Avellino e a chiudere i beniamini di casa dell&rsquo;Olimpia Milano contro la Reyer Venezia. Semifinali il sabato e la finale domenica alle 18.00.  Le quote SNAI danno Milano strafavorita a 2,00, Reggio Emilia a 6,00, Avellino a 9,00, poi subito dietro Trento a 10,00, Pistoia a 12,00 seguita da Sassari a 13,00, Venezia a 16,00 e Cremona a 18,00.  La curiosit&agrave; viene da Pistoia dove Laura Scoppetta, dirigente dell&rsquo;Ufficio Scolastico Regionale per la Toscana, Ambito Territoriale di Prato e Pistoia, vista l&rsquo;eccezionalit&agrave; dell&rsquo;evento sportivo ha invitato i dirigenti scolastici della provincia di Pistoia a valutare l&rsquo;opportunit&agrave; di lasciare uscire da scuola alle 11 i ragazzi appassionati di basket, perch&eacute; possano seguire la partita. La Lega ringrazia, almeno speriamo.  La copertura televisiva, in chiaro, &egrave; affidata alla Rai, che trasmetter&agrave; tutte e sette le gare in programma su Rai Sport 1, in una maratona di tre giorni che vuole essere una vera festa per il basket. Gongola il presidente di Lega Marino che, al netto di litigi con gli arbitri e inibizioni prese dalla FIP, &egrave; riuscito ad assicurare alla stagione 2015/2016 del campionato una gran visibilit&agrave; in chiaro, con la Rai e a pagamento su Sky Sicuramente un palcoscenico migliore delle reti private regionali che, spesso, non hanno mezzi adeguati per valorizzare un prodotto che ne ha invece estremamente bisogno.  &nbsp;  Twitter:&nbsp;@luigi_ceccon

Coppa Italia 2016, il sogno del Forum pieno a met&agrave; (Guerin Basket)

Che bella Coppa Italia con l&rsquo;Alessandria, lo Spezia e il Carpi che arrivano ai quarti di finale e con la certezza che avremo una formazione non di A all&rsquo;altezza delle semifinali. All&rsquo;improvviso ci si accorge che una coppa nazionale non ridotta ad un discorso tra le solite note, non rappresenta l&rsquo;impoverimento di un torneo, ma l&rsquo;esatto contrario.  Tutti contenti e tutti entusiasti. Allora, perch&eacute; non ne approfittiamo per cambiare questa formula brutta e antisportiva (e incredibilmente longeva: in passato la Coppa ha cambiato tutti i formati possibili, evitando il modello migliore da imitare, quello della Fa Cup e della Scottish Cup)? Perch&eacute; non sostituirla con una nuova che non obblighi le squadre minori a dover scalare una montagna dietro l&rsquo;altra e sempre in trasferta? Avremmo molte pi&ugrave; storie come quelle scritte e apprezzate in questi giorni. Via allor le teste di serie e via il meccanismo che premia le pi&ugrave; forti facendole giocare in casa.  La manifestazione in corso si sta svolgendo in stadi mezzi vuoti, dove gli affreschi pi&ugrave; belli sono venuti dai tifosi in trasferta, elettrizzati dallo sfidare le big. Abbiamo tutti in mente i tifosi del Crotone a San Siro o dello Spezia all&rsquo;Olimpico. Visto che il trofeo interessa pi&ugrave; queste realt&agrave; che quelle delle metropoli (ovvio, Milan-Spezia &egrave; una partita tra le tante per il Milan e un incontro indimenticabile per lo Spezia), sarebbe un ulteriore motivo per giocare in casa delle squadre meno quotate. Avremmo sicuramente impianti pieni e non malinconici match giocati quasi a porte chiuse. Oppure, se si preferisce non favorire nessuno, che almeno si sorteggi il campo.  Ad ogni modo, &egrave; difficile che la coppa cambi formula; alle grandi va bene cos&igrave;. Un&rsquo;annata diversa, infatti, non modifica la sostanza di un torneo che orribile era e orribile rimane. Gli exploit sono un caso. Il torneo continua ad essere pensato per le pi&ugrave; forti e per questo rimarr&agrave; cos&igrave;. Anzi, ora c&rsquo;&egrave; persino la scusa pronta: &laquo;Vedete che anche cos&igrave; &egrave; una competizione aperta a tutte le soluzioni?&raquo;.  Se proprio non si vuole cambiare e si ritiene opportuno mantenere le teste di serie, sarebbe pi&ugrave; giusto che queste siano scelte dalla precedente Coppa Italia, non dal precedente campionato. Perch&eacute; l&rsquo;Alessandria l&rsquo;anno prossimo dovr&agrave; ripartire da capo e ripetere tutta la trafila, senza venir premiata per questo suo incredibile percorso?  Giovanni Del Bianco @g_delbianco

Coppa Italia, il torneo resta orribile

Lo abbiamo scritto decine di volte, ma la formula della Coppa Italia, talmente brutta da venir puntualmente riproposta (quella sorteggiata ieri sar&agrave; l&rsquo;ottava edizione con queste regole), merita l&rsquo;ennesima denuncia. Cos&igrave; funziona da noi: le cose che ci differenziavano in meglio rispetto ad altri Paesi, come lo spareggio-scudetto o quello salvezza in caso di arrivo a pari punti, sono state accantonate. Quando dovremmo imitare gli altri, come nel caso delle coppe nazionali, presentiamo invece un torneo incomprensibile, con una serie infinita di turni eliminatori tutti disputati in casa delle compagini pi&ugrave; forti, l&rsquo;ingresso di otto teste di serie a partire dagli ottavi di finale e con la garanzia di giocare (ovviamente in casa, in barba a ogni legge dello sport) contro la squadra scampata ai barrage. Alla formula macchinosa dobbiamo considerare poi l&rsquo;incomprensibile numero di societ&agrave; provenienti dalla Lega Pro (ventisette, chiss&agrave; perch&eacute;) e dalla Serie D (le nove arrivate seconde nel loro girone, chiss&agrave; perch&eacute;). Non si chiede un format che porti in finale dei dilettanti, come nel caso del Calais nella Coppa di Francia del 2000, ma almeno uno che dia la possibilit&agrave; anche a formazioni meno titolate, provenienti dalla bassa Serie A o dall&rsquo;alta B di arrampicarsi fino in fondo, come avevano fatto negli anni Novanta, Ancona, Atalanta e Vicenza. Da quando &egrave; stata introdotta la formula in corso, l&rsquo;unica squadra capace di arrivare fino in fondo provenendo dai turni preliminari &egrave; stata la Lazio, giunta in finale nel 2009 (vittoria ai rigori sulla Sampdoria) e lo scorso anno (sconfitta contro la Juve). In tutti gli altri casi, quando sono arrivate in finale delle outsider (il Palermo nel 2011 o la stessa Sampdoria nel 2009), erano partite come teste di serie, in virt&ugrave; del bel campionato della stagione precedente. Chi ci gode con una formula del genere? Ovviamente le grandi, che hanno un comodo cuscinetto in caso di cattivo campionato, evitano brutte figure in campi minori, non hanno il fastidio della trasferta (eppure, non occorre un pool di scienziati per capire che un Milan-Fano si giocherebbe in un clima desolante e Fano-Milan in uno stadio pieno, oltre a divenire un incontro-evento nella citt&agrave; ospitante. O almeno, che si faccia un sorteggio!). Pi&ugrave; di tutti, per&ograve; a essere contenta della Coppa cos&igrave; organizzata &egrave; la Rai, certa di ottenere share alti dai quarti in poi e di non ritrovarsi una finale tra compagini con meno appeal.  Giovanni Del Bianco @g_delbianco

Coppa Italia: una formula da cambiare

Si ferma il campionato e si vola tutti a Desio per le Final Eight di Coppa Italia 2015, con la formula delle migliori otto del girone di andata che se la giocano in quarti &ndash; semifinali e finale in una all inclusive di basket di tre giorni (da oggi al 22 di febbraio).  Milano parte da favorita e cerca di sfatare il tab&ugrave; (far scendere la scimmia dalla spalla, dicono i neozelandesi) di una coppa che non vince dal 1996: allora la squadra si chiamava Stefanel e parlava triestino (ma anche slavo) ed era una vera e propria ammazza Bologna (Virtus, prima, e Fortuitudo, poi, in finale scudetto). In panchina sedeva il condottiero montenegrino Bogdan Tanievic, ai suoi ordini una truppa formata da gente del calibro di De Pol (al massimo della sua forma), Gregor Fucka (ala/pivot... ma anche no, di 215 cm), Dejan Bodiroga (uno dei giocatori pi&ugrave; completi mai visti in Europa), Rolando Blackman (quando gli americani erano americani), proveniente dall'NBA (Dallas e New York) via Atene, conosciuto come un difensore ma capace di 28 punti in finale contro Verona. A capitanare e guidare in campo la squadra c'era Gentile, Nando, per chi non lo ha mai visto giocare: di lavoro playmaker, disposto a tutto per vincere, vero leader in campo, pap&agrave; dei due monelli che vestono le maglie di Milano (proprio la sua) e Cant&ugrave;. Gente che di Basket ne sapeva e che portava al palazzo dello sport plotoni di tifosi e appassionati... senza nulla togliere alla squadra attuale.  Hackett, Gentile e compagni se la dovranno vedere al primo turno con Avellino, asfaltata nell'ultima di Serie A e non in grande forma. La squadra irpina, al momento incapace di ritrovare il ritmo di gioco che ha caratterizzato la prima fase del campionato, subisce anche la contestazione dei tifosi (che in Italia non si nega a nessuno).  Nella stessa parte del tabellone ci sono Venezia e Brindisi, con i veneziani agli ordini di Recalcati che partono come favoriti, con Peric in ottima forma, Goss che (vista l'et&agrave;) rischia di subire le tre (forse) partite ravvicinate e i tre sensi tutti da decifrare. Dall'altra parte Brindisi che, fresca della vittoria in Eurochallenge, si presenta come avversario spinoso, capace di spostare il gioco vicino a canestro (proprio dove Venezia &egrave; pi&ugrave; leggera), con Denmon e Mays e con Jacob Pullen, il play georgiano (ma si legge statunitense) in grado di portare in egual misura fosforo e punti.  Nella parte opposta del tabellone Sassari (all'epoca delle qualificazioni era seconda) che ha appena battuto Roma al termine di una partita non bella ma importante per la classifica e che cerca di tornare a correre con Dyson, Logan, Sosa e Lawal a tirare la volata, a tutti i compagni di squadra, contro Cremona. La squadra di Pancotto &egrave; guidata da Vitali, assist man del campionato, che sta cercando intesa con Cusin che a trenta anni, potrebbe togliersi qualche soddisfazionestefano proprio contro la squadra che l'ha preso a tagliato dopo solo 3 giornate di campionato.  Completano il tabellone Reggio Emilia e Trento per un quarto di finale che nonostante la differenza in Classifica &egrave; davvero equilibrato, Menetti ha un gruppo in crescita che si affida a Polonara, Cervi, Della Valle per gli italiani e Kaukenas (37 anni) e Drake Diener per gli stranieri. Trento non &egrave; nelle condizioni del girone di andata, ha segnato il passo, perso per 4 volte di seguito e poi si &egrave; ripresa strapazzando Brindisi: Mitechell, Grant, Sanders, Baldi Rossi e Spanghero potrebbero essere gli outsider della competizione.  Per i bookmaker Milano &egrave; strafavorita con una quota da 1,80, con Venezia a 9,00, Reggio Emilia a 6,00&nbsp; e Sassari quotata a 5,00 a fare da inseguitrici. Per chi ama il rischio: Brindisi &egrave; data a 13,00, Trento quotata 30,00 e per chi ha coraggio: Avellino e Cremona 35,00.  Luigi Ceccon, in esclusiva per Guerin basket

Final Eight di Coppa Italia, Milano pu&ograve; solo perdere

E' stato sorteggiato oggi nella sede della Lega Calcio in via Rosellini a Milano il calendario della coppa Italia 2014/15. Si parte il 10 agosto con il primo turno eliminatorio cui partecipano 27 societ&agrave; di Lega Pro e 9 di serie D. Al secondo turno (17 agosto) entrano in gioco le societ&agrave; di B pi&ugrave; il Novara (data l'esclusione del Siena). Dal terzo turno (24  agosto) faranno il loro esordio le prime societ&agrave; di A, quelle classificatesi dal nono al diciassettesimo posto della Serie A TIM 2013/2014 pi&ugrave; le 3 neopromosse dallo scorso torneo cadetto: Lazio, Hellas Verona, Atalanta, Sampdoria, Udinese, Genoa, Cagliari, Chievo, Sassuolo, Palermo, Empoli, Cesena. E cos&igrave; via. Le 8 societ&agrave; teste di serie (Juventus, Roma, Napoli, Fiorentina, Inter, Parma, Torino, Milan) faranno il loro ingresso nel tabellone a partire dagli ottavi di finale.  Volendo dare uno sguardo alla parte finale del tabellone, spiccano come incroci interessanti un possibile derby Milan-Inter in semifinale nella parte sinistra e un Roma-Juventus nella parte destra, ovviamente se le suddette squadre supereranno i turni precedenti. Una curiosit&agrave;: se Roma e Napoli arriveranno fino in fondo andranno a replicare la semifinale dell'ultima edizione, ma soprattutto si temono scontri dopo il caso Ciro Esposito della scorsa finale con la Fiorentina e l'agguato romanista ai campani. I partenopei potranno invece incontrare la Fiorentina solo in finale visto che si sono incontrati nell'ultimo turno della passata edizione, se i toscani batteranno la Roma ai quarti di finale.  Di seguito intanto gli accoppiamenti dei primi due turni.  PRIMO TURNO: 9-10 AGOSTO 2014 Albinoleffe-Renate Pontedera-Messina Vicenza-Bassano Juve Stabia-Prato Benevento-Correggese Como-Matelica Catanzaro-Akragas Reggina-Casertana Salernitana-Alessandria L'Aquila-Altovicentino Pisa-RapalloBogliasco Savona-Terracina Unione Venezia-Taranto Cremonese-Nuova Cosenza FeralpiSal&ograve;-Santarcangelo Lecce-Foligno Sudtirol-Teramo Monza-Olginatese  SECONDO TURNO: 16-17 AGOSTO 2014 Brescia-Pro Vercelli Latina-Novara Pescara vs Albinoleffe-Renate Cittadella vs Pontedera-Messina Livorno vs Vicenza-Bassano Varese vs Juve Stabia-Prato Entella vs Benevento-Correggese Frosinone vs Como-Matelica Ternana vs Catanzaro-Akragas Crotone vs Reggina-Casertana Lanciano vs Salernitana-Alessandria Bologna vs L'Aquila-Altovicentino Carpi vs Pisa-RapalloBogliasco Bari vs Savona-Terracina Avellino vs&nbsp;Unione&nbsp;Venezia-Taranto Trapani vs Cremonese-Nuova&nbsp;Cosenza Perugia vs FeralpiSal&ograve;-Santarcangelo Spezia vs Lecce-Foligno Catania vs Sudtirol-Teramo Modena vs Monza-Olginatese

Coppa Italia 2014/15, sorteggiato il tabellone

Solo in Italia il capitano di una squadra di calcio pu&ograve; andare a parlare con gli ultras che minacciano violenze e ritorsioni, accompagnato da funzionari di polizia e sotto gli occhi delle massime autorit&agrave; politiche (Renzi) e sportive (Malag&ograve;, Abete, Beretta) italiane. Con l'interlocutore di Hamsik che indossava giustamente una maglietta inneggiante all'assassino di un poliziotto (Filippo Raciti il poliziotto), a dare un tocco di gran classe a una finale di Coppa Italia che era stata preceduta da scontri dalla dinamica ancora poco chiara (romanisti isolati e coinvolti casualmente o romanisti organizzati?) ma dai risultati gravissimi, fra feriti e devastazione. Qualcuno del partito dei cementificatori forse potr&agrave; spiegare in quale modo gli stadi di propriet&agrave; potranno impedire l'esistenza di personaggi come Genny 'a Carogna, di certo gli ultras di oggi poco si prestano alle semplificazioni visto che sono sempre meno inquadrabili politicamente e meno militarizzati anche solo di una decina di anni fa. Paradossalmente le forze dell'ordine (da ricordare che Napoli-Fiorentina si &egrave; giocata per ordine del questore, preoccupato per situazioni di ordine pubblico ancora peggiori) tifano per l'esistenza di personaggi come Genny, a loro modo punti di riferimento quando non direttamente interlocutori. Le curve tutte di cani sciolti e di gruppi sempre pi&ugrave; frazionati, come ad esempio quella della Roma, in questa logica fanno pi&ugrave; paura. Nel 2014 &egrave; difficile dare alle curve etichette politiche, anche se molti capi della storia recente vengono dall'estrema destra, mentre invece &egrave; chiaro che mai come in questo momento politico e sociale il calcio deve andare avanti. L'inadeguatezza di Abete e Beretta &egrave; evidente, ma non &egrave; colpa loro se nelle citt&agrave; girano piccoli eserciti di disperati per vari motivi, con quello economico che non sempre &egrave; il pi&ugrave; grave (fra tutti i coinvolti negli scontri di Roma nessuno patisce la fame, qualcuno ha anche discrete attivit&agrave; commerciali), con una rabbia che solo il calcio &egrave; ormai capace di canalizzare. Il movimento ultras non &egrave; certo unitario, ma sommando serie A e realt&agrave; pi&ugrave; piccole, anche di altri sport (che spesso hanno nuclei di derivazione calcistica), si pu&ograve; fare una stima non lontana dai 150.000 elementi. Senza contare il fatto che in molte manifestazioni di &nbsp;piazza di &egrave; vista una sorta di saldatura pre-ideologica con altri movimenti ai confini dell'eversione. Per dare un termine di paragone, la Polizia di Stato conta circa 100mila elementi fra uomini e donne, i Carabinieri 110.000. &Egrave; facile quindi capire come gli editoriali sull'esame di coscienza che il calcio si deve fare e sul pallone da fermare siano degni di miglior causa, a meno di non volere gli ultras in strada invece che negli stadi.

Meglio un Genny grande che tanti piccoli

Nel prossimo week end partir&agrave; la Coppa Italia: siete pronti all&rsquo;ennesima edizione di un torneo che diventa interessante a partire dalle dalle semifinali, usato come tappabuchi nel calendario quando non c&rsquo;&egrave; nient'altro di interessante, intriso di riserve e giocato in stadi deserti? Bene, perch&eacute; purtroppo questo &egrave; il quadro che presenta la nostra Coppa nazionale. Che ancora una volta si presenta al via con una formula fortemente antidemocratica, che fa s&igrave; che le otto teste di serie (scelte in base al precedente campionato. E perch&eacute; non in rapporto alla precedente Coppa Italia?), entrino in scena addirittura al quinto turno, avendo la certezza di debuttare in casa e di non affrontarsi con le altre big se non dai quarti. Un format che toglie possibilit&agrave; alle squadre piccole di farsi largo e di arrivare fino in fondo.  Quante volte si &egrave; invocata anche da noi una Coppa Italia all&rsquo;inglese con gare secche ma non automaticamente in casa della squadra pi&ugrave; potente (non ci vuole molto a capire che Milan-Gubbio verrebbe giocata in uno stadio deserto e Gubbio-Milan in uno stadio pieno) e con una formula pi&ugrave; lineare (l'andata e ritorno delle semifinali &egrave; qualcosa di incomprensibile). E se nella FA Cup inglese &egrave; all&rsquo;ordine del giorno che squadre piccole (o addirittura di Championship) arrivino fino in fondo, nella nostra &ldquo;Coppa delle riserve&rdquo; (o Coppa &ldquo;in-cui-daremo-una-chance-a-chi-ha-giocato-meno-finora&rdquo;, nella versione degli allenatori) dobbiamo risalire al 1993-94 per trovare una squadra di B in finale (l&rsquo;Ancona) o al 1995-96 per individuarne una in semifinale (il Bologna).  Prendiamo dal tabellone attuale, una squadra piccola, il Pontedera ad esempio, e proviamo ad immaginarne il cammino (se per assurdo dovesse arrivare in fondo e dando sempre per scontate le vittorie delle squadre pi&ugrave; forti): primo turno: trasferta a Benevento; secondo turno: trasferta a Lanciano; terzo turno: trasferta a Genova contro la Sampdoria; quarto turno: trasferta a Verona contro l&rsquo;Hellas; ottavi: trasferta a Roma contro la Roma; quarti: trasferta a Torino contro la Juve; semifinale: andata e ritorno contro la Lazio o il Napoli. finale: in campo neutro a Roma.  Facile, no? Non stupiamoci dunque che in Italia non capitino mai avventure come quelle di Calais e Quevilly, arrampicatesi fino alla finale di Coppa di Francia. Proprio non pu&ograve; succedere.  La Coppa Italia-spezzatino ha offerto anche fantastici esempi di giocatori scesi in campo nello stesso turno per due volte e con squadre diverse. Successe ad esempio due stagioni fa a Giuseppe Sculli: impiegato dalla Lazio in Lazio-Verona e dal Genoa in Inter-Genoa, Sculli disput&ograve; due volte nell&rsquo;arco di nove giorni, gli ottavi di finale. Non &egrave; meraviglioso tutto ci&ograve;?  Giovanni Del Bianco @g_delbianco

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