Carapellese, l’ala amante del dribbling che ereditò la maglia di Mazzola

Carapellese, l’ala amante del dribbling che ereditò la maglia di Mazzola

Nato il 1° luglio del 1922, in vent’anni di carriera ha giocato con numerose squadre. Con la Nazionale fu trascinatore nella sfortunata spedizione del Mondiale 1950. A Torino sostituì Valentino

Alessio Abbruzzese/Edipress

01.07.2022 ( Aggiornata il 01.07.2022 08:20 )

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C’è stato un evento, nella storia del nostro calcio, che ha rappresentato più di tutti un momento di rottura con il passato. Un accadimento per il quale c’è stato un prima e c’è stato un dopo, senza possibilità di appello. Si tratta di un fatto tragico, che ha sconvolto la vita di molti e toccato in profondità la sensibilità di milioni di appassionati e tifosi. Stiamo parlando del disastro di Superga, quando il 4 maggio del 1949 la quasi totalità di quella squadra di campioni che fu il Grande Torino perse tragicamente la vita in un incidente aereo. Anche se indirettamente, il protagonista della storia che racconteremo oggi ha subito sulla propria pelle e sulla propria carriera le conseguenze di quel nefasto pomeriggio di tanti anni fa.

Il dribbling di Carapellese

Riccardo Carapellese non è uno dei nomi più noti del nostro calcio, eppure avrebbe meritato di esserlo. Ala dalle grandissime doti tecniche e atletiche, faceva del dribbling la sua arma più letale: veniva soprannominato anche “la serpentina”, ad indicare la sua più che naturale predisposizione a saltare gli avversari prima di involarsi verso la rete. Era dotato anche di un ottimo destro, qualità che gli permetteva di finire sul tabellino con una certa frequenza. Nato esattamente 100 anni fa a Cerignola, è cresciuto calcisticamente nel Torino, squadra che nel corso della sua carriera ha lasciato e ritrovato diverse volte. La storia calcistica di Carapellese, come quella di molti suoi coetanei, viene influenzata anche dal secondo conflitto mondiale. In questi anni l’ala pugliese gioca con lo Spezia in B, disputa con il Casale l’anomalo campionato di guerra del ’44 prima di girovagare tra Vigevano, Como e Novara. Nel 1946 arriva in Serie A con il Milan, squadra con cui conoscerà una discreta fama e grazie alla quale riuscirà ad entrare nel giro della Nazionale. Le tre stagioni passate all’ombra del Duomo sono le sue migliori da calciatore, con la maglia rossonera gioca ben 106 partite e segna 52 reti in campionato.

La pesante eredità di Mazzola

Suo malgrado si ritroverà, dopo Superga, a dover gestire il pesantissimo lascito di Valentino Mazzola, di cui erediterà la maglia sia nel Torino che in Nazionale. Dopo la prima stagione da titolare con i granata, disputa anche il Mondiale del 1950, edizione sfortunata di cui conosciamo molto anche grazie ai suoi racconti. Fu un torneo partito male e finito peggio: molti calciatori sulla scia emotiva della tragedia di Superga votarono per andare in Brasile in mare, anche se a dire il vero una volta finito il Mondiale quasi tutti scelsero l’aereo per andare in vacanza. Fatto sta che la squadra impiega 18 giorni per arrivare in Brasile, si allena poco e male dopo aver fatto finire inevitabilmente tutti i palloni in mare dopo pochi giorni. Carapellese sarà un vero e proprio faro nel buio profondo della spedizione italiana in Sudamerica: mette lo zampino su tutte e quattro le reti segnate dagli azzurri, con due gol e due assist, ma non basta. L’Italia non supera il girone di qualificazione, l’ala granata però fa breccia nel cuore del presidente del Bangu Atletico Clube, squadra di Rio de Janeiro, che gli offre 12 milioni di lire all’anno. Per i tempi è una cifra enorme, Carapellese a Torino prende 700.000 lire a stagione. Prova in tutti i modi a convincere la dirigenza granata ma niente da fare, il club non lo vuole cedere. Nel 1952 passa dall’altra parte del Po, vestendo per una stagione la maglia bianconera. Poi Genoa e Catania, prima di chiudere la carriera alla Ternana, dove ha giocato poco ma è ancora oggi ricordato e molto amato soprattutto per le tre stagioni passate sulla panchina rossoverde negli anni ’60. Passerà purtroppo l’ultima parte della sua vita in una condizione di grande miseria, distrutto dalla perdita della figlia Daniela nel 1984.

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