La favola di Roberto Bordin: "Atalanta e Napoli mi hanno dato tanto"

La favola di Roberto Bordin: "Atalanta e Napoli mi hanno dato tanto"

I ricordi del doppio ex che ha indossato entrambe le maglie per 4 anni: "Il mio cuore è diviso a metà, sono stato bene con entrambi i club perchè mi hanno permesso di giocare ad alti livelli"

Paolo Marcacci/Edipress

03.04.2022 ( Aggiornata il 03.04.2022 11:37 )

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Parlare con Roberto Bordin, all’Atalanta dal 1989 al 1993 e al Napoli nelle quattro stagioni seguenti come jolly di centrocampo e all’ocorrenza difensore, vuol dire tirar fuori aneddoti di calcio a non finire, tra ricordi esaltanti, amarezze, duri passaggi esistenziali.

Quattro anni a Bergamo, altrettanti a Napoli; un legame speciale con i tifosi azzurri per la vicinanza in un momento difficile...

"Sono due club che mi hanno dato tanto, entrambi; mi hanno consentito di giocare a grandi livelli, assaporare l’atmosfera delle coppe europee, affrontare grandissimi avversari. Non sono in grado di fare distinzioni per quanto riguarda la mia appartenenza all’una o all’altra maglia. La cosa che mi piace sottolineare è che sia a Bergamo che a Napoli i tifosi hanno capito che tipo di giocatore ero e che uomo sono: uno tignoso, che non molla mai; sapevano che davo sempre il massimo, che nella battaglia non mi tiravo mai indietro. A Bergamo c’era già Percassi, uomo quadrato, razionale, che ragionava secondo una sana logica aziendale e di programmazione; c’era, inoltre, il lavoro straordinario di Mino Favini, che impreziosiva la programmazione e attraverso il settore giovanile assicurava una crescita costante, i cui frutti si vedono ancora oggi. Di Napoli ricordo l’ambiente eccezionale, l’orgoglio di giocare in un club che voleva rilanciare le sue ambizioni di grande piazza, dopo aver vissuto un’era irripetibile pochi anni prima".

Mentre era nel pieno della carriera, ha dovuto rinunciare alla preparazione estiva della stagione 1996-1997, a causa di un tumore alla tiroide; cosa le ha lasciato quell’esperienza?

“Col senno di poi, visto che è andato tutto bene, posso dire che è stata una “fortuna” ammalarmi a Napoli: i napoletani mi hanno dato forza, calore, entusiasmo per affrontare quella battaglia. È uno dei motivi, forse il più importante, per i quali non finirò mai di ringraziarli. Assistito dal Dottor Russo, che era il medico del Napoli, ho voluto dare io la notizia, personalmente, per far cessare sul nascere ogni tipo di voce o illazione”.

Che effetto le ha fatto la vicenda di Mihajlovi?, ora che il problema per lui si è ripresentato?

“Ho sempre pensato una cosa, sin dall’inizio: che nessuno è più combattente di lui”.

Oggi che è allenatore, che ricordo ha dei grandi tecnici per i quali ha lavorato, da Arrigo Sacchi (a Parma) in poi?

“Grandi personalità, innanzitutto; ognuno col suo modo di essere leader. Ho rubato a ognuno un po’ di mestiere con gli occhi. Sacchi era un astro nascente, con una metodologia di lavoro futuribile, per l’epoca. Mi ha insegnato il gioco a zona, in primis ma, più di ogni altra cosa, mi ha insegnato, da perfezionista quale era, la cura di ogni particolare, di ogni movimento con e senza palla, nella preparazione di una partita. Con Lippi, che ho avuto a Bergamo e a Napoli, c’è stato subito un grande rapporto, sia a livello personale che di gruppo. Anche quando mancavano i risultati, o addirittura si vociferava di un esonero, il gruppo non lo ha mai mollato, lo ha sempre seguito, perché è un grande motivatore e uno che ha sempre saputo ascoltare la squadra; a parte la cura nel preparare le partite, ti faceva sentire protagonista anche per quell’aspetto ed era naturale dare tutto per lui. A Napoli ebbe anche coraggio nelle scelte, buttando dentro un po’ di giovani e mettendo da parte qualche senatore. Poi ho avuto Boskov, un autentico istrione, uno al quale bastavano poche parole, spesso sotto forma di battuta, per farti ragionare. Fammi menzionare poi Bruno Giorgi, un uomo più unico che raro: devi pensare che i suoi giocatori lo adoravano, tutti; persino quelli che mandava in tribuna. Non credo che possa esistere un maggiore attestato di stima”.

Come allenatore ha girato tanto è conosciuto anche il calcio a latitudini poco consuete: Sheriff Tiraspol, Neftçi Baku, nazionale moldava...

“Tutto è cominciato un po’ per caso; in realtà dopo dieci anni da vice allenatore mi ero ritrovato privo di lavoro, senza alcun preavviso. Pensavo di avere più amici, invece nemmeno mi rispondevano al telefono, con l’eccezione di Sean Sogliano, al quale devo l’esperienza con la Triestina, nella primavera del 2016, in Serie D. Ho conosciuto, in Moldavia come in Azerbaigian, un calcio in evoluzione, con strutture all’avanguardia. Con la nazionale ci siamo confrontati con realtà importanti come Danimarca, Scozia, Israele e anche le sconfitte, di misura, ci hanno fatto crescere. Ancora oggi sento qualche amico e mi raccontano che stanno ospitando parecchi profughi dall’Ucraina, del resto loro sono a due passi e la situazione non può non angosciarmi. Speriamo finisca presto...”.

Tornando a cose leggere, domenica che partita si aspetta?

“Il Napoli con Osimhen (oggi squalificato, ndi) è devastante e Spalletti è stato bravissimo a fare punti anche quando gli sono mancati parecchi giocatori; l’Atalanta ora si è ripresa dopo un po’ di momenti altalenanti dovuti secondo me a un calo fisico”.

A questo punto mi aspetto un pronostico...?

“Fossi matto... nessun allenatore sano di mente lo farebbe”.

 

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