Fausto Gresini, quel tris storico a Misano

Fausto Gresini, quel tris storico a Misano

L’ex pilota, scomparso a febbraio 2021, ha vinto per tre volte sul circuito romagnolo (1985, 1987 e 1991) sempre nella sua 125, quella classe che non ha mai voluto abbandonare

Paolo Marcacci/Edipress

19.09.2021 12:01

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Provateci voi, se ci riuscite e sappiamo tutti che non ci riuscirete, perché nessuno potrebbe, a dire che Fausto non c’è più, in questa prima volta in cui meno lo si vedrà e più saremo destinati a nominarlo, lui che non poteva nascere altrove che a Imola, che probabilmente ha imparato prima a usare le ruote, quali che fossero, poi le gambe per camminare. Fausto Gresini all’anagrafe, in realtà 125 di cognome, nel suo caso non semplicemente una cilindrata, ma il liquido amniotico della sua nascita al motociclismo, nel quale ha voluto sempre continuare a nuotare, anzi a correre, scusate. E allora se dici Gresini a Misano non cominci soltanto a sfogliare un libro di storia, non parli soltanto di record appuntati sulla tuta come medaglie che restano lucenti in mezzo agli sponsor del team che porta il suo cognome e la continuità del suo modo di interpretare le corse; dici anche che Luca suo figlio è lì tra gli pneumatici e le chiavi inglesi per dimostrare che quando si è fatto in modo di fermare il tempo, negli albi d’oro e nell’affetto dei tifosi, alla fine è la morte quella che rimane fregata; quella a cui tocca tornare a piedi ai box. A Misano Fausto Gresini non ha soltanto vinto e rivinto, come hanno saputo fare anche altri (ma non quanto lui), a Misano lui ha fatto l’amore, se ci passate l’espressione: con la moto, con il pubblico, con il tracciato che quando avvicinava l’orecchio all’asfalto, durante una piega, gli rispondeva con un accento quasi uguale alla sua parlata imolese.

Fausto Gresini e quella prima vittoria a Misano 

Si era scelto sempre gli anni dispari, per vincere al Santamonica, come ancora si chiamava nel secolo scorso il circuito: forse perché si ricordano meglio, forse perché hanno più spigoli a favore della scaramanzia e contro quella specie di sfiga che Fausto pensava di avere, almeno fino a un certo punto, quando gareggiava in Italia. Nel 1985, la prima volta, in una gara che avrebbe decretato il vincitore del giorno e quello dell’anno, per la classe 125. Ultima gara del campionato, Gresini ventiquattrenne e cinque punti di svantaggio rispetto a Pier Paolo Bianchi, il veterano, trentatré anni e tre titoli mondiali, poi dici che uno non crede alla cabala. Il fatto è che in quel fine settimana Fausto sfugge anche alla propria paura di non avere fortuna, come se la Garelli fosse impermeabilizzata contro ogni condizionamento, contro ogni variazione di rumore, contro ogni problema ai cilindri come a volta ce n’erano stati, in quella stagione. Ma a Bianchi basta arrivare secondo, per portare a casa il quarto mondiale, quindi i calcoli che Fausto non può permettersi il suo avversario li ha ben presenti, li tiene in canna. Se non fosse che Bianchi a cinque giri dalla fine sente che il motore si fa rauco, come se la moto fosse retrocessa al rango di ciclomotore. Pare si tratti di una candela, come gli spiegheranno dopo: un pezzo da poche lire, che tradotto nel linguaggio che quel giorno parla il destino di Fausto, vale tutto l’oro del mondo, per chi del mondo è appena diventato il Campione.

Bis e tris

1987, la seconda volta, quando alla fine del campionato forse si era persino stufato di dominare: nove vittorie sulle nove portate a termine, la corona iridata già in testa; Misano come pretesto per festeggiare una volta di più, secondo gli altri. Misano da onorare come un amore al quale non si può che dire di sì l’ennesima volta. Eppure nel corso degli ultimi giri di prova, il giorno precedente, era caduto, danneggiando in modo irreparabile la sua Garelli, procurandosi una distorsione al malleolo della caviglia destra. Bel problema: per gli altri, che volevano sottrargli le briciole dell’annata, quel giorno; non certo per Fausto e nemmeno per il suo muletto; la Garelli di riserva si fa condurre fino al traguardo senza mai nemmeno tossire dagli scarichi, senza mettere per nulla in discussione la solitudine al comando dei numeri dispari di Fausto. E da quel pomeriggio in poi, iniziano quattro anni senza vittorie, quasi un’era motociclisticamente geologica, che dovendo scegliere il luogo in cui interrompersi, non può che eleggere Misano: per Fausto, che è alla sua seconda stagione con la Honda, e per trovare un altro pretesto di festeggiamenti oltre a quelli per il campione del mondo in carica, Loris Capirossi, che in classifica è a cinquanta punti, contro i cinquantuno di Gresini e i cinquantacinque di Ueda. Partono affiancati, in prima fila, Gresini e Capirossi, primo e secondo tempo in qualifica, con Gianola e Ueda. Partono tutti, ma uno solo se ne va: è Gresini, che inizia subito esibendo un ritmo proibitivo per tutti gli altri, andandosene letteralmente, Honda su Honda ma a distanza, visto che il compagno di team Capirossi, che a fine stagione bisserà il titolo mondiale, sul traguardo si ritrova staccato di diciotto secondi. Diciotto. Sono le tre volte a Misano di un campione rimasto sempre fedele alla propria categoria di cilindrata, uno che non si era mai arreso e che al motociclismo oltre a tre quarti di vita ha lasciato in dote anche il proprio nome da onorare, per mezzo di tutti quei piloti che hanno corso e correranno per lui. E a uno come Fausto Gresini per farlo cadere c’è voluto soltanto uno sgambetto subdolo, quello di una malattia che non ci va di nominare perché ci ha inquinato pensieri e vocabolario, oltre a tentare di portarci via più d’una persona cara. Proprio per questo, non vi sognate nemmeno di dire che Fausto Gresini non c’è più: perché a Misano non è possibile, tra una staccata e un’apertura del gas, col suo nome sulle tute e la sua immagine che sorride sopra le cassette degli attrezzi; con l’eco di ogni giro in cui è transitato per primo sul traguardo; con quelle tre vittorie che saranno sempre lì a ricordarci che nessun altro c’è riuscito.

 

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