Borea, l'elegante uomo di calcio che fece grande la Sampdoria

Borea, l'elegante uomo di calcio che fece grande la Sampdoria

Un profilo raffinato dall’assoluta competenza calcistica che in blucerchiato scoprì tanti talenti che vinsero anche lo scudetto del 1990-91

Paolo Marcacci/Edipress

26.08.2021 ( Aggiornata il 26.08.2021 17:13 )

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Un uomo di calcio, nel senso più pieno e autentico del termine: senza stare a specificare o a fare distinzioni a seconda dei ruoli che ha ricoperto nei club ai quali ha prestato la sua opera saggia, competente, animata da un giusto ed elegante profilo; così come elegante era il suo eloquio, forbito senza mai arrivare a sfiorare toni troppo alti. Uomo di calcio, dunque: ci piace ribadire la definizione; poi, nello specifico, dirigente o direttore sportivo nel corso di una carriera da plasmatore di squadre, nel corso della quale ha ottimizzato il lavoro di presidenti e allenatori attraverso la compenetrazione tra la sfera tecnica e quella economica, indipendentemente dalle possibilità economiche delle varie proprietà con le quali si è trovato a lavorare.

Scouting e qualità

Un morbido e vellutato accento modenese, per cominciare, anche quello esibito con discrezione e, nel tempo della sua più importante avventura prima umana e poi dirigenziale, con le vocali un pochino più strascicate nella dilatazione di una “carezza” genovese. Già, perché se scandisci il nome e il cognome di un direttore sportivo - ora usiamo la definizione con cui lo si ricorda proprio in Liguria - come Paolo Borea, non si può non pensare alla più grande, forte e vincente Sampdoria di ogni epoca, quella dello scudetto del 1991 e delle finali tra coppe nazionali e internazionali. Anche quella persa, certo, nel modo più doloroso possibile, la finale di Coppa dei Campioni del 1992, dopo 120 minuti disputati meglio dalla Sampdoria che dal Barcellona, con la stilettata diretta al cuore dei tifosi blucerchiati, ancor più che all’angolino basso della porta difesa da Pagliuca, rappresentata da “quella” punizione di Koeman. Quella Samp, arrivata a un giro di lancetta dalla vetta d’Europa, negli anni l’aveva edificata, assemblata, puntellata con innesti di classe sempre maggiore proprio lui, Paolo Borea. Una mole di lavoro contrassegnata sempre da un duplice valore: alla quantità delle ricerche, dello scouting continuo e sempre più capillare, ha sempre fatto riscontro l’innalzamento della qualità. E per svolgere a quel livello un compito del genere, in una piazza che prima di quell’epoca non era certo abituata alle vittorie o alle grandi ribalte, così come non era abituata nemmeno alla permanenza senza soluzione di continuità nella massima serie, non potevano bastare i soldi. Anche quando erano tanti, come quelli che gli metteva a disposizione un presidente munifico e innamorato della propria “creatura” quale era ed è sempre stato fino alla fine dei suoi giorni Paolo Mantovani. 

Costruttore di squadre 

Perché quando il nostro era il campionato più bello e ricco del mondo, erano tanti anche i soldi che venivano buttati. Questo alla Sampdoria in quell’epoca non è mai accaduto. Ci voleva, perché ci vuole sempre tanto per i club più ricchi che per quelli con minori possibilità economiche, la qualità del lavoro di uno come Borea, che aveva sotto di sé una sterminata e capillare rete di osservatori, capaci di andare a scovare futuri talenti anche laddove non c’era altro che un campetto di terra polveroso. È così che nel corso di quelle stagioni, tra la metà degli anni Ottanta e dei Novanta, prima e dopo quell’epocale scudetto, quella maglia sono arrivati a vestirla i Vialli, i Mancini, i Pari, i Salsano, i Pagliuca, i Chiesa e i Veron. Ci dobbiamo fermare qua, perché altrimenti metteremmo insieme un elenco telefonico. E non renderemmo merito alla memoria di un costruttore di squadre come lui, che se n’è andato con discrezione un giorno di luglio del 2014, se non ricordassimo anche il grande lavoro svolto prima del periodo blucerchiato al Modena e al Bologna.  Lui di certo quella volta si schermì, riservato com’era, ma il suo lavoro gli aveva fatto meritare di sentirsi dire: "Paolo, sei il miglior direttore sportivo del mondo". Firmato Toninho Cerezo.

 

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