Barison: l’ala sinistra vinta dal fato tra trofei e cuori infranti

Barison: l’ala sinistra vinta dal fato tra trofei e cuori infranti

Vinse la Coppa Campioni con i rossoneri, prima di trasferirsi nel capoluogo campano. Un destino tragico lo portò via nel 1979

Paolo Valenti/Redazione Edipress

23.06.2021 11:01

  • Link copiato

É il 17 aprile 1979 quando un autoarticolato impazzito mette il punto definitivo al racconto della vita di Paolo Barison, attaccante che ha indossato varie divise nella nostra serie A e azzurro nello sciagurato mondiale inglese del 1966. Era in viaggio sull’autostrada dei fiori con l’amico Gigi Radice quando dalla corsia opposta un mezzo pesante balzò sulla carreggiata dove stava transitando la Fiat 130 coupè dei due ex compagni di squadra del Milan di Nereo Rocco e Gipo Viani, campione d’Europa nel 1963. 

La vita da calciatore e le vittorie

Quanti ricordi da ripassare tra la valutazione di un calciatore di prospettiva e un altro già pronto da non lasciarsi scappare nella stagione successiva. Già, perché il Bisonte (era questo il soprannome che si era meritato in quindici anni di carriera nei quali aveva sempre dimostrato potenza e coraggio) faceva l’osservatore proprio per il Torino dell’allora tecnico Radice. Il tecnico granata si sarebbe poi salvato in extremis da quello schianto fatale, nel quale Paolone salutò anzitempo una vita che il calcio aveva saputo solo parzialmente riparare da un destino che gli aveva riservato una dose eccessiva di dolore già quando gli sottrasse i genitori e un fratello in giovane età. Nel calcio Barison intravide la possibilità di riscattarsi, di percorrere una strada che lenisse le sue ferite con gli unguenti che solo questo sport è in grado di regalare. Scommise tutto se stesso a costo di abbandonare gli studi: sentiva che la forza che sprigionava il suo metro e ottantaquattro lo poteva portare lontano. E così fu, dapprima nel Venezia e poi col Genoa, squadra grazie alla quale arrivò in serie A. Con i trenta gol realizzati in maglia rossoblù, Barison si fece notare dal Milan di Maldini, Trapattoni, Radice, Rivera e del Paron Nereo Rocco. Tre anni a Milano, uno scudetto e una Coppa dei Campioni prima di tornare a Genova, questa volta sulla sponda blucerchiata. Nei due anni successivi disputati con la Roma, Paolo si guadagna anche la nazionale e la convocazione per i mondiali del 1966: sfortunati, finiti a pomodori ma pur sempre mondiali. Anche lui è in campo nella disfatta di Middlesbrough contro Pak Doo Ik e compagni, ultima stazione di un’esperienza con la maglia azzurra che, a dispetto dei numeri (6 reti segnate in sole 9 partite), non potrà proseguire. 

L’arrivo a Napoli e l’addio della moglie

Quando nel 1967 approda a Napoli sembra che a volerlo sia proprio il vecchio compagno di squadra rossonero, José Altafini. Certo, loro due possono costituire una bella coppia d’attacco. E poi ci sono Zoff in porta, Juliano e Ottavio Bianchi in mezzo al campo, Sivori davanti. Ma la realtà è che Altafini, più che delle qualità tecniche di Barison, è innamorato della moglie. Paolo non lo sa e va a vivere nello stesso stabile del compagno italo-brasiliano. È uno dei primissimi casi che riguardano il mondo del calcio che tracimano nella cronaca rosa. È un altro colpo di quel destino che, al Bisonte, non ha riservato potenza solo nel fisico ma anche nelle percosse che sembra essersi divertito ad assestargli per colpe che non sono sue. Annamaria, madre dei suoi tre figli, lo lascia, non lo vuole più. Con Altafini è amore vero, dopo qualche anno si sposano. Circostanza che non solleva, semmai affligge più in profondità l’animo di un calciatore che, arrivato a 34 anni, lascia Napoli per seguire l’ineluttabile fase calante della sua carriera, che lo porterà anche a spendere spiccioli di calcio nei Toronto Metros, compagine canadese militante in un’ancora pionieristica NASL. Chiusa definitivamente la porta dello spogliatoio, Barison collabora con la Federazione e con il Torino fino a quel 17 aprile 1979, giorno in cui il destino decide di infliggergli l’ultima, irreparabile beff a dalla quale il Bisonte non può trovare riparo.

Condividi

  • Link copiato

Commenti