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Addio Azeglio Vicini, addio Italia '90

Addio Azeglio Vicini, addio Italia '90

La morte dell'ex commissario tecnico dell'Italia è quella di un allenatore ricordato con affetto, che guidò una squadra forse sopravvalutata ma che mancò la finale del Mondiale di un niente. Di certo uno dei pochi c.t. condivisi della nostra storia...

Stefano Olivari

31.01.2018 11:45

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La morte di Azeglio Vicini, a quasi 85 anni, ci fa dare l’addio a un uomo che per tutti, tranne che per familiari e amici stretti, sarà per sempre il commissario tecnico dell’Italia al Mondiale del 1990. Un selezionatore ‘condiviso’ come Prandelli, Zoff e Bearzot, mai percepito dall'opinione pubblica come uno di parte. Italia ’90 rimane uno dei più bei ricordi del nostro calcio, perché chiuse il decennio della rinascita e perché quella Nazionale era realmente la squadra degli italiani. Nel senso che per una congiuntura storica, ma anche per le scelte di Vicini, quasi tutti tifavano per gli azzurri a prescindere dal proprio tifo a livello di club. Cosa che raramente era accaduta prima (nemmeno nel 1982, tranne che dal 5 all’11 luglio) e che quasi mai sarebbe accaduta dopo.

La squadra che Vicini presentò al Mondiale non era identificabile con alcun club, come del resto lo stesso c.t, ed aveva pochi punti di contatto con il ciclo azzurro precedente: di fatto solo Bergomi, visto che Altobelli e Cabrini durarono poco. Fra i giocatori più rappresentativi, citando chi effettivamente scese in campo, c’erano sampdoriani (Vialli, Vierchowod), interisti (Zenga, Bergomi, Ferri), milanisti (Baresi, Maldini, Donadoni), juventini (Schillaci, De Agostini, Baggio appena preso dalla Fiorentina), romanisti (Giannini, Carnevale appena preso dal Napoli), napoletani (De Napoli, Ferrara). Non è che Vicini avesse progettato a tavolino questa nazionale mosaico, ma all’epoca non esisteva un club dominante e gli scudetti dal 1981 al 1991 (in 10 anni 7 vincitori diversi: Juventus, Roma, Verona, Napoli, Milan, Inter e Sampdoria) lo testimoniano in maniera perfetta. Il confronto con la serie A odierna è impietoso, in ogni senso.

Le idee tattiche di Vicini non erano tanto diverse da quelle del suo predecessore sulla panchina azzurra, anche se con Bearzot c’era una cordiale antipatia. Un libero di classe, due marcatori puri, il tornante, il fludificante (per esprimerci come all’epoca), due mediani a sostegno dei giocatori di maggior classe da combinare secondo l’ispirazione del momento. Vicini iniziò il suo ciclo con la Nazionale maggiore portandosi in dote l’entusiasmo e lo spirito offensivo della sua Under 21, per poi diventare leggermente più prudente. La formazione con cui esordì all’Europeo 1988, contro la Germania Ovest padrona di casa, era già in pratica quella di Italia ’90: con l’eccezione di Mancini (al suo posto Carnevale), l’undici di partenza, il 9 giugno 1990, di Italia-Austria prima partita del nostro Mondiale.

Nella sua autobiografia Vicini ha sostenuto che quel terzo posto non fu un Mondiale buttato, perché c’erano squadre con qualità dei singoli superiore: dalla Germania Ovest di Matthäus all’Olanda di Van Basten, dall’Argentina di Maradona al Brasile di Careca, senza contare il livello di squadre come l’ultima Jugoslavia unita, la Spagna o l’Inghilterra incontrata dagli azzurri nella commovente finale per il terzo posto di Bari. Commovente per come le squadre alla fine festeggiarono la fine di Italia ’90 e di un’epoca irripetibile. Di sicuro l’ultima in cui il calcio per nazionali aveva la stessa importanza di quello per club. Con questo non vogliamo usare lo schema classico dei coccodrilli, affermando che Vicini sia stato un genio del calcio, perché non è vero e perché con il senno di poi proprio al Mondiale fece diversi errori: non seppe dire di no a Vialli mezzo infortunato, non ebbe il coraggio di puntare al 100% su un Baggio in condizioni splendenti, si dimenticò di Mancini. Certo, senza l’uscita di Zenga su Caniggia adesso Vicini avrebbe la statua equestre. Ma è stato una persona pulita, che ha lavorato ed è andata in pensione con grande classe, nonostante lo scarso stile con cui Matarrese lo congedò. Azeglio Vicini, allenatore dell'Italia quando era il massimo. 

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