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L'Italia che ha bruciato Prandelli©  Getty Images

L'Italia che ha bruciato Prandelli

L'ex commissario tecnico azzurro ha chiuso anche l'esperienza con l'Al Nasr, negativa come quelle con Galatasaray e Valencia. L'ennesima vittima del lavoro più stressante che si possa immaginare, quello che tutti si ritengono in grado di fare

Stefano Olivari

19.01.2018 17:28

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La Nazionale italiana e le sue pressioni bruciano mentalmente tutti i commissari tecnici: quelli vincenti, quelli perdenti e i tanti che stanno in mezzo. L’esonero di Cesare Prandelli dalla guida tecnica dell’Al Nasr, dopo l’eliminazione dalla Presidents Cup, conferma una regola che nella storia azzurra sono riusciti a infrangere in pochi. Infatti quasi tutti dopo la panchina azzurra si sono ritirati, hanno collezionato esoneri o, come nel caso di Lippi (che almeno ha vinto, però), hanno raccolto soldi facili nel terzo mondo calcistico.

Dopo la prematura uscita dal Mondiale 2014, nulla comunque rispetto a quanto accaduto per il 2018 con Ventura (fra le tante differenze anche le dignitose dimissioni di Prandelli), l’allenatore bresciano ha forse avuto troppa fretta di rimettersi in pista e in pochi giorni aveva già trovato l’accordo con il Galatasaray, squadra da Champions League: tre mesi, tante sconfitte e l’esonero per lui e il nutrito staff. Qui Prandelli davvero si è preso una lunga vacanza e dopo due anni è ricomparso sulla panchina del Valencia, per un periodo ancora più breve. Nello scorso maggio l’accordo con l’Al Nasr, la squadra di Dubai che ha spesso ingaggiato nomi europei famosi, dall’ex c.t. inglese Don Revie a Walter Zenga per arrivare a Dan Petrescu, predecessore di Prandelli. La squadra attuale non ha grossi nomi, ma nel recente passato qui hanno giocato Luca Toni, Mark Bresciano, Zarate, Guglielminpietro, Morimoto… Tutta gente che per farla giocare in un campionato fuori dai radar devi pagare e nemmeno poco. Insomma, una buona situazione per una pensione di lusso, ma evidentemente Prandelli aveva già dato tutto.

Tornando al discorso sui c.t., bisogna ribadire che l’Italia ha bruciato gran parte dei suoi allenatori. Bruciato mentalmente, perché non è che tutti abbiano disimparato ad allenare ma forse è più difficile lavorare in un club dopo che per anni sei stato l’uomo più popolare, amato, criticato, discusso d’Italia. L'uomo che fa il lavoro che tutti gli spettatori italiani, dal giornalista al salumiere, dal tassista al medico, ritengono di essere in grado di fare meglio di lui. Vittorio Pozzo tornò a fare il giornalista, Giovanni Ferrari si ritirò a vita privata, Edmondo Fabbri dopo la Corea andò di nuovo a lavorare nei club ma senza più l’aura dell’emergente e chiuse in netto calando, Ferruccio Valcareggi dopo il Mondiale 1974 guidò Verona, Roma e Fiorentina con scarsissimo successo. Fulvio Bernardini quando nel 1977 lasciò la Nazionale al solo Bearzot smise di allenare (anche per motivi di salute) e fece solo per breve tempo il dirigente, Enzo Bearzot dopo Messico 1986 anche, così come di fatto Azeglio Vicini dopo la fine della sua carriera azzurra.

L'Arrigo Sacchi post Nazionale è stato un lontano parente del miglior Sacchi, gli sono bastate poche partite con Milan, Atletico Madrid e Parma per smettere. Il dopo Italia di Cesare Maldini è consistito in un breve ritorno al Milan e in un Mondiale sulla panchina del Paraguay. Pochissimo ha fatto Dino Zoff dopo quelle clamorose dimissioni da vicecampione d’Europa, mentre dopo i fallimenti con l’Italia lo stakanovista Trapattoni è andato avanti più a lungo, con esperienze positive (Benfica e Salisburgo), negative (Stoccarda) e tanti rimpianti (Irlanda). Lippi in Cina, Prandelli e soprattutto Ventura sono storia di oggi, mentre le uniche vere eccezioni, cioè gli unici due che hanno davvero rilanciato la propria carriera dopo l’esperienza in Nazionale sono stati Roberto Donadoni e Antonio Conte. Dopo gli esoneri a Napoli e Cagliari, anche se nel secondo caso i motivi non erano sportivi, Donadoni ha fatto quello che ha potuto a Parma, in una situazione societaria tragica, e discretamente al Bologna, anche se dal grande giro sembra essere uscito e lo stesso Milan, che negli ultimi anni ha dato chance a gente obbiettivamente più scarsa di lui, mai lo ha cercato seriamente. Conte invece ha ancora il marchio del vincente anche perché al Chelsea ha vinto e potrebbe continuare, certo non nella Premier League di quest'anno. Lui e Donadoni sono accomunati da un particolare non secondario: hanno lasciato la Nazionale (in realtà Donadoni non è stato riconfermato, perché già c’era l’accordo per il Lippi bis) non dopo un disastro ma dopo un Europeo ben giocato. E Conte detiene anche un altro record, questa volta in coabitazione con il Lippi 2006, quello di avere lasciato la panchina azzurra davvero di sua volontà, senza essere accompagnato alla porta in maniera formale o sostanziale. Non significa che ci tornerà adesso, ma di sicuro è una storia non ancora finita. 

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