Giornale di critica e di politica sportiva fondato nel 1912

Olimpia alibi per tutte le altre

Olimpia alibi per tutte le altre

Redazione

20.02.2017 ( Aggiornata il 20.02.2017 16:41 )

  • Link copiato

Tutto secondo pronostico in quel di Rimini, con l’Olimpia che vince per la seconda volta di fila la Coppa Italia aggiudicandosi il primo degli obiettivi minimi stagionali, il sesto in assoluto per la squadra milanese, il secondo consecutivo targato Repesa. Proprio il coach milanese non ci sta a sottovalutare o snobbare la coppa appena conquistata e parla di un grande traguardo ottenuto anche contro chi gli vuol male. Che il coach non sia simpatico a molti è un dato di fatto, non ha mai fatto nulla per farsi voler bene da stampa e tifosi, e spesso anche dai giocatori. Ma che funga da eterno parafulmini per i suoi è altrettanto vero, con la croce che gli si inchioda addosso dopo ogni sconfitta e ogni risultato mancato, mentre le vittorie arrivano sempre per merito dei suoi uomini “del resto, con quella squadra lì non poteva non vincere…”. Una posizione scomoda la sua, aggravata dal probabile fallimento in Eurolega, dove la speranza di accedere al secondo turno è ormai poco più che una possibilità matematica. L’Olimpia, però, pare aver assorbito la cessione di Gentile, con Pascolo leader in campo per rendimento e comportamento e Abass in crescita. Bene Sanders ormai perno della squadra e Hickman nominato MVP della finale. Sempre più incomprensibile Radulijca, che non ha avuto l’impatto che ci si aspettava da lui in queste Final Eight, ma finora anche in campionato e in Eurolega, togliendo tonnellaggio, ma soprattutto qualità da dentro l’area dell’Olimpia. Un peccato che in Italia è perdonabile, anzi, quasi una virtù, con quintetti bassi che schierano play che giocano ala e ali che fanno la voce grossa in area. Ma in Europa, in quella che conta, quella dell’Eurolega, è tutto un altro paio di maniche: vicino canestro servono pivot di mestiere, che dopo il blocco sappiano girare verso canestro, che siano in grado di prendere posizione in post basso, fare a sportellate e recupere rimbalzi quando la palla non entra. Lo capiremo? Alla Dinamo non riesce l’impresa e dopo una buona partenza si ritrova a lottare punto a punto con un’Olimpia abituata in questa manifestazione a inseguire. Pasquini ha parlato di ottime Final Eight e di grande gara giocata contro Milano. A ben guardare, se Repesa è l’alibi dell’Olimpia, l’Olimpia è l’alibi del resto del campionato, con i coach avversari che prima della partita gridano propositi di guerra, ma poi si affrettano a complimentarsi da soli se sconfitti e a far trapelare: “D’altra parte i favoriti erano loro, cosa potevamo fare?”. Questo è il male della nostra serie A: nessuno pare convinto realmente di poter battere i primi della classe e di conseguenza campagna acquisti, attitudine e risultati sono allineati con questo modo di pensare. La Dinamo ha lottato contro l’Olimpia giocando di squadra nel primo quarto e poi cedendo alla tentazione di accentrare tutto il gioco su Stipcevic con il passare dei minuti. Bene Lecey e Lawal in uscita dalla panchina, ma contro Milano e soprattutto in una partita secca di finale, serve molto di più, da parte di tutti. Vera sorpresa della manifestazione è stata Brescia, capace di eliminare Venezia (sorpresa, ma a modo suo) e di giocarsela con Sassari in semifinale. Con Vitali unico play in tutta la Lega A a giocare il pick & roll cercando il pivot, la squadra di coach Diana ha dimostrato di non aver bisogno di ricorrere sistematicamente al tiro da tre per trovare il canestro, non solo: ha anche evidenziato i limiti difensivi cui gli avversari vanno incontro quando incontrano un attacco che gioca sul gruppo. Venezia intanto ha provveduto a tesserare il peso e la forza di Esteban Batista, ex Milano, andando a coprire un ruolo, quello di pivot, dove dai tempi di Recalcati non si è mai investito nel tonnellaggio, a vantaggio della velocità. Delusa Reggio Emilia che dopo aver superato Capo d’Orlando con due punti di scarto ha ceduto in semifinale sotto i colpi di Milano cui inizialmente era riuscita a scappare, tra le maglie di una difesa troppo permissiva. Buono il rientro di Aradori e l’innesto di Reynolds, chiamato a dare sostanza nel pitturato, dove Cervi, in semifinale, non è riuscito a essere determinante. Poco incisivo anche Polonara, con Della Valle e De Nicolao scatenati nell’ultimo quarto a cercare di trascinare i compagni. Tra i delusi anche Avellino beffata, sotto gli occhi del neo acquisto Logan, da un tiro di Stipcevic cui Levi prima e Ragland poi non sono riusciti a replicare. Alberani commentando la partita ha voluto chiarire che nonostante l’arrivo di Logan non sono previsti tagli o comunque giocatori in uscita dal Roster. Il GM poi ha affermato che anche se si fosse vinta la partita con Sassari, la squadra non sarebbe stata all’altezza di puntare alla finale e che si attende il rientro di Cusin per iniziare la rincorsa ai playoff. Le Final Eight hanno avuto una buona cornice di pubblico, si parla di circa 15.000 biglietti venduti nelle quattro giornate di gara, e un’audience televisiva che ha toccato i 350.000 contatti per la finale, con uno share dell’1,57%. Un successo nelle parole di Egidio Bianchi, presidente di Lega, che entusiasticamente si è detto disponibile a confermare la sede di Rimini anche per il prossimo anno. Stessi toni per il presidente Petrucci, che si è complimentato con i giocatori dell’Olimpia, in particolare con gli italiani azzurri. A ben vedere però, se veramente i numeri riportati dalla Lega sono da considerarsi buoni, quello che afferma di essere il secondo sport nazionale, dimostra di vivere a una distanza siderale dal calcio, dove i quarti di finale della coppa Italia, trasmessi in diretta sulle reti Rai1 e Rai2 (non a pagina 5 del telecomando) hanno avuto uno share minimo del 20%. Non si può certo paragonare il calcio con il basket (ma la palla a spicchi in questo senso le prende anche dal rugby e spesso dal volley) ma è certo che se si vuol tornare a riempire le palestre di praticanti, forse sono necessarie una maggiore esposizione televisiva e una migliore comunicazione. Oltre che una riforma dei campionati. A tal proposito, suonano come squilli di tromba le dichiarazioni di Bogdan Tanjevic, che si dice pronto a sostituire Petrucci alla guida della FIP, proponendo fin da subito un accordo tra le società di A per limitare a 4 il numero massimo di stranieri tesserabili per ogni squadra, battendo sull’assoluta importanza di una “base nazionale” per costruire un roster solido e, soprattutto, vincente. Una boutade? Una dichiarazione di guerra? Un proposito realizzabile? Certo è che a qualcuno deve essere tremata la poltrona. Finalmente, verrebbe da dire.  

Condividi

  • Link copiato

Commenti

Leggi Guerin Sportivo
su tutti i tuoi dispositivi