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Kevin Garnett e l'inutilità del college

Kevin Garnett e l'inutilità del college

Redazione

28.09.2016 ( Aggiornata il 28.09.2016 08:48 )

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Visto dall'Italia, il ritiro di Kevin Garnett fa meno impressione di quelli di Kobe Bryant e Tim Duncan: dà meno il senso della fine di un'epoca, nonostante Garnett abbia nel suo curriculum un anno NBA in più dei 20 di Bryant e due rispetto a Duncan. Fa meno impressione anche perché Garnett fino ai 31 anni ha giocato in una squadra fuori dai radar degli appassionati europei, come i T-Wolves, prima di andarsi a prendere un titolo a Boston nel 2007-2008, con la squadra dei Rondo, dei Pierce e dei Ray Allen, e di sfiorarne un altro due stagioni dopo. L'importanza storica di Garnett non risiede tanto nel suo valore, indiscutibile fino a quando il fisico lo ha sorretto, o nella cattiveria agonistica sfociante nel machismo deteriore (nella lega non è un difetto soltanto suo), ma nel fatto che lui abbia inaugurato la moda del passaggio dalla high school alla NBA venendo seguito da tanti altri, dallo stesso Kobe fino a LeBron James, prima che la regola venisse cambiata e si entrasse nella logica, come minimo, dello one and done (una stagione di università e via). Garnett non è stato il il primo ad effettuare questa scelta, basti pensare a Moses Malone nel 1974 (nella ABA) o al Darryl Dawkins 1975, ma è stato il primo ad essere imitato su larga scala facendo capire che, in definitiva, il basket di college moderno non è che serva più di tanto al prosieguo della carriera sportiva. Una scelta anti-sistema, probabilmente maturata nei primi anni di high school in South Carolina quando fu arrestato per aggressione nei confronti di studenti bianchi, che gli ha dato soldi immediati mentre non c'è la prova che gli abbia tolto qualcosa dal punto di vista tecnico: certo, essendo forte fin dai 19 anni i miglioramenti nel corso della carriera sono stati dovuti più all'esperienza e alla lettura del gioco che a un miglioramento del bagaglio tecnico, ma è un discorso che potremmo fare per il 90% dei giocatori NBA, italiani compresi. Comunque l'esempio di Garnett è stato seguito non soltanto da Kobe e LeBron, ma anche da gente come Dwight Howard, Monta Ellis, Tyson Chandler, Shaun Livingston, Jermaine O'Neal, Tracy McGrady, Amar'e Stoudemire, J.R Smith, Rashard Lewis e tanti altri che dimentichiamo, prima che la regola nel 2005 venisse modificata.  E quindi? La NBA è giustamente preoccupata dello sviluppo culturale e psicologico dei suoi protagonisti (il commissioner Adam Silver ha in diverse occasione buttato lì l'ipotesi di un innalzamento del limite di età a 20 anni), pensando anche a tante vicende personali, ma al di fuori della retorica dei college il discorso c'entra poco con la pallacanestro in senso stretto. Twitter @StefanoOlivari

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