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Come non è triste Venezia

Redazione

31.05.2016 ( Aggiornata il 31.05.2016 17:46 )

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Ci si avvia alla fine di questi playoff, dunque. Milano e Reggio Emilia hanno acquisito il diritto di giocare una finale (sempre al meglio delle sette) che porta i segni di una semifinale infinita, ma soprattutto sfinita. Mentre in America si inizia a ripensare al 3 su 5, qui da noi ci si affanna a definire le serie playoff bellissime e combattute perché portate in qualche modo a gara 6 o gara 7. Poco importa che quanto si vede in campo non giustifichi invece una ripetizione continua della stessa gara, con gli stessi attori di volta in volta più stanchi e meno lucidi. Si dimentica che i playoff in realtà altro non sono il distillato di quanto si vede in campionato, quindi è vero che esaltano i campioni (ad averne) ma evidenziano anche i limiti di costruzione e di gestione delle squadre che avendo una panchina corta non riescono a dividere stress e fatica su più di 6 o 7 giocatori. Le partite vengono giocate ogni 48 ore, i trasferimenti (a volte) sono lunghi (ne sa qualcosa Nando Gentile che segue tutte le gare dei figli in prima fila) e non lasciano molto tempo per recuperare e per lavorare tatticamente in palestra. Quel che si è fatto si è fatto, non c’è tempo per cambiare, ma al massimo per estremizzare qualche concetto o per puntellare qualcosa. Il piano partita cambia di pochissimo e quasi sempre in difesa, mentre in attacco si continua a tirare da fuori: tanto prima o pio entra (mica sempre a dire il vero). Si guarda alla NBA (per la formula) e si dimentica il resto. I presidenti invitano i tifosi a farsi sentire per “aiutare la squadra” e così a Venezia il pubblico dimostra di avere grandissima mira (più dei giocatori) e pochissima sportività lanciando palle di carta, bottigliette di acqua e aste delle bandiere in campo, mentre a Reggio Emilia i giocatori di Avellino vengono omaggiati di rotoli di carta igienica mentre attaccano il canestro avversario. Ci sarebbe pure il capitolo dei cori verso i giocatori, ma meglio lasciar stare. La FIP stacca le solite multe per le società di casa, ma non si capisce perché i vari Gentile, Cervi, Aradori, Cerella (i più amati) debbano giocare mentre vengono insultati o colpiti da quel che capita per le mani dei tifosi. Tutto questo avviene in strutture a dir poco vecchie, piccole, affollate e più simili a palestre che a palazzi dello sport, dove ci si scalda per le giocate dei propri beniamini, ma anche perché raramente l’aria condizionata fa il suo dovere. E avviene pure davanti alle telecamere di SKY e della RAI: uno spot strepitoso per tutto il movimento. Milano ha liquidato Venezia in 6 partite, dopo essere sembrata in crisi nera in gara 2. I playoff hanno dimostrato che la squadra al momento può prescindere da Gentile, forse il più discontinuo dei suoi ma non da Simon, Batista e Sanders. In particolar modo il lungo dell’Olimpia, in gara 6 è stato un fattore sotto le plance di Venezia, riuscendo da solo a impegnare il reparto lunghi avversario nella lotta a rimbalzo, evidenziando che per fare a sportellate nel pitturato la stazza è importante, se non determinante. Simon ha saputo essere letale in attacco, colpevole forse di qualche palla persa di troppo, mentre Sanders, sempre alle prese con qualche infortunio, a tratti è apparso fisicamente inarrestabile. Più di tutto però Repesa ha potuto contare su una panchina molto lunga dalla quale sono usciti Lafayette, diviso tra il ruolo di play e quello di guardia, Macvan, McLean e Cinciarini, più il gladiatorio Cerella, gran difensore che, a onor del vero, bisogna potersi permettere in attacco. De Raffaele parla di “Grande Finale di Stagione” ma dice di non essere contento per come è andata. Difficile essere contenti dopo essere stati eliminati in semifinale nei playoff italiani. Qui non ci sono Eastern o Western conference e neanche le division: se arrivi quarto non hai vinto niente. Se poi prima dei playoff la proprietà ha messo mano al portafogli arrivando quasi a rivoluzionare la squadra, allora aver ben figurato contro Milano non basta più. De Raffaele ha pagato sicuramente il maggior peso degli avversari dentro l’area grazie al quale Milano ha spostato l’attacco vicino a canestro quando i tiri da fuori non entravano. Allo stesso modo ha pagato l’impossibilità di costruire un gioco alternativo al pick and roll e alla circolazione perimetrale della palla che a tratti sembrava più paura di tirare che ricerca di un tiro comodo. Buona la prestazione di Tonut, cresciuto dal punto di vista caratteriale, veloce e dinamico. Piacerebbe vederlo inserito in una struttura di gioco più organizzata e non solo come esecutore (bravissimo) del contropiede. Buona anche la prova di Krubally e di Ejim che hanno dimostrato di valere la riconferma, assieme a Pargo che però non è riuscito a trascinare la squadra alla vittoria in gara 6. Ora è tempo di progettare e ricostruire. Molti i giocatori da valutare (Green, Bramos, Jackson, Ortner e Viggiano, per dirne alcuni) partendo però dalla guida tecnica e dalle ambizioni della società.

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