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Cosa rimarrà di Kobe Bryant

Cosa rimarrà di Kobe Bryant

Redazione

01.12.2015 ( Aggiornata il 01.12.2015 10:55 )

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Kobe Bryant ha ufficializzato il ritiro dalla pallacanestro giocata al termine di questa stagione NBA, forse con i tempi supplementari dei Giochi di Rio, ma non si può dire che l'annuncio abbia stupito qualcuno. Dal 2011, da quando con la cancellazione da parte del commissioner David Stern dell'operazione Paul-Howard i Lakers sono andati sempre più giù fino agli abissi attuali, Kobe sapeva che il sesto anello sarebbe stato impossibile. E così il suo mito Michael Jordan (fra i suoi tanti, troppi, 'eredi' il più jordaniano è senz'altro stato lui) rimarrà irraggiungibile anche statisticamente, oltre che come impatto nell'immaginario collettivo. Perché è esistita la NBA di Magic e Bird, è esistita quella di Jordan ed esiste quella di LeBron, è probabile che esisterà quella di Curry, ma non c'è mai stata quella di Kobe nonostante una classe immensa e una passione ossessiva per il gioco che lo ha fatto entrare nel cuore anche di chi detesta le partite di stagione regolare, da lui interpretate come la solita sfida contro il mondo. Una personalità complessa, con una biografia personale lontana da quella del giocatore NBA medio (non fosse altro che per la presenza in famiglia di entrambi i genitori) e un qualcosa di irrisolto che ce lo ha fatto amare al di là del suo 'hero basketball' a volte deteriore più che jordaniano. Fra i tantissimi libri scritti su di lui, in ogni lingua, ce ne sono due italiani che ci sentiamo di consigliare: 'Un italiano di nome Kobe' di Andrea Barocci, sull'infanzia passata nel nostro paese al seguito del padre Joe, e 'Dr. Kobe e Mister Bryant' di Claudio Limardi, più centrata sui suoi migliori anni NBA. Dopo vent'anni con i Lakers ai massimi livelli, tolti gli ultimi fra infortuni e intristimenti, anche noi suoi devoti facciamo comunque fatica a collocarlo fra i migliori cinque di tutti i tempi se teniamo conto di un misto di importanza storica e di valore sportivo: troppo facile elencare nell'ordine che preferite i tre miti prima citati, Chamberlain, Russell, Robertson, West, Jabbar, Erving. Questo non toglie che Kobe possa essere collocato intorno alla decima, in lotta con altri campioni del suo rango, come ad esempio Tim Duncan. Poi al bar della storia vale tutto, niente può essere verificato e bisogna passare oltre quando si legge che Bob Cousy oggi faticherebbe in A2... Ma venendo al presente, è da sottolineare la bellezza dell'usanza americana di annunciare il ritiro a stagione in corso, in modo che tutte le partite rimanenti, soprattutto quelle in trasferta, si trasformino in un tour d'addio con applausi e ringraziamenti anche nei confronti di chi non è mai stato considerato un simpaticone. Certo ci vuole una forma mentale che porti ad applaudire la stella degli avversari, ma nella NBA (non diciamo in tutta l'America, perché in altri contesti il tifo è apparentabile a quello europeo) questa forma mentale c'è. Impossibile copiare singole parti di un modello complesso, magari prese acriticamente. Senza fare i soliti esempi del calcio, anche se bandiere tipo Maldini, Zanetti, Totti o Del Piero difficilmente sarebbero state fischiate in situazioni analoghe, una cosa del genere nella nostra pallacanestro sarebbe impensabile. Sognare non costa niente e così diciamo che come degna conclusione del tour d'addio, visto che i playoff per i Lakers attuali sono fantabasket, un passaggio a Reggio  Emilia o a Pistoia ci starebbe per un ragazzo e un uomo che ha vissuto per il basket, dandogli tutto se stesso e ricevendo in cambio molto. Twitter @StefanoOlivari 

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