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Galliani e la parte del cattivo

Redazione

28.01.2015 ( Aggiornata il 28.01.2015 11:35 )

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La panchina di Pippo Inzaghi è sempre più in bilico, a maggior ragione dopo la sconfitta in Coppa Italia con la Lazio, ma in questa situazione c'è poco di originale: a qualsiasi livello è di solito l'allenatore a pagare le colpe sue e degli altri. È teoricamente ancora possibile che con un mercato ben fatto (sulla carta Bocchetti non è superiore ai difensori attuali) e uno scatto di orgoglio Inzaghi arrivi a fine stagione, quando magari il Milan avrà trovato una transazione per il contratto di Seedorf (scadenza 2016, 5 milioni lordi all'anno) e potrà permettersi un allenatore vero fra quelli disponibili, da Spalletti in giù. L'uomo del momento non è però l'allenatore, ma Adriano Galliani. Spesso contestato, nell'era dei parametri zero e dei prestiti di giocatori senza futuro e senza presente, ma quasi mai in maniera diretta come è avvenuto a San Siro con la Lazio, attraverso cori e striscioni, e sui media con un comunicato della Curva Sud che usando termini come 'marketing' e 'main sponsor' (quale ultras, del resto, non è attento ai bilanci?) ha fatto una scelta di campo netta fra i due amministratori delegati: sì a Barbara Berlusconi, addio a Galliani dopo 29 anni quasi tutti di onorato servizio. Al netto dei discorsi sulla genuinità del comunicato ultras, il sentimento prevalente dei tifosi rossoneri è di astio nei confronti del 'cattivo' Galliani, contrapposto nell'immaginario a un Berlusconi 'buono' (con una Barbara per osmosi familiare buona anche lei) e addirittura distinto da Inzaghi che in realtà sarebbe in tutto e per tutto un suo uomo. Il punto è che di tutto si può accusare Galliani, tranne che di incompetenza: lo hanno dimostrato gli anni, diremmo i decenni, delle spese no limits (come altri club italiani ed europei, del resto: erano i mitici anni Ottanta e gli abbastanza mitici Novanta, anche loro ormai entrati nel circuito del rimpianto) che si sono tradotte in trofei, ma anche quelli del parziale ridimensionamento arrivati fino al dopo Ibrahimovic (senza di lui Allegri riuscì comunque a qualificarsi per la Champions League). In uscita Galliani ha sempre avuto il timing giusto per liberarsi dei campioni al vertice della loro parabola: Shevchenko, Kakà, Ibrahimovic solo per citare Palloni d'Oro o quasi. Si era anche liberato di Pato, mettendo le mani su Tevez, prima che i Berlusconi bloccassero tutto e Tevez andasse a rinforzare la Juventus, e un film abbastanza simile si è visto con El Shaarawy, sul mercato ben da prima del suo declino psicologico (chiamiamolo così) e dei suoi infortuni. Diverso il discorso sui giocatori in entrata, che da quando Berlusconi non è più quello di una volta vengono presi per scuderie di procuratori più che per un progetto vero e proprio: negli anni cambia il procuratore o l'agente di riferimento (Damiani, Tinti, Bronzetti, Raiola, Branchini, eccetera), ma non l'improvvisazione di tante scelte. Su tutto c'è il fatto che Berlusconi, il 'buono' della situazione, al di là delle visite motivazionali del venerdì non abbia la minima idea di come rifinanziare il Milan senza usare il patrimonio personale: l'azionista di minoranza (cretino, aggiungiamo noi) è difficile da trovare, teoricamente possibile la strada della Borsa ipotizzata dall'amico Ben Ammar ma con tempi non brevissimi, la vendita totale rimane un'ipotesi giornalistica se il presidente continuerà a valutare il Milan 500 milioni di euro tutti e subito. Certo è che l'unico modo che ha Berlusconi per svincolarsi da Galliani sarebbe svincolarsi dal Milan. Dopo quasi 30 anni e tante vittorie, sarebbe un bene per i Berlusconi e per il Milan. Twitter @StefanoOlivari

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