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Redazione

28.11.2014 ( Aggiornata il 28.11.2014 11:32 )

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Il 2014 non sarà ricordato con affetto da Cesare Prandelli, esonerato dal Galatasaray dopo 4 mesi di alti (nel campionato turco è a un punto dalle due capolista) e bassi (in Champions League, un pari e 4 sconfitte). La barba che si è lasciato crescere nel periodo turco, che gli dà 97 anni invece dei reali 57, vale più di mille discorsi anche senza fare psicoanalisi da treno. Facile dire adesso che dopo il disastro Mondiale avrebbe avuto bisogno di un periodo di decompressione, ma l'essersi rimesso in gioco subito torna a onore dell'ex commissario tecnico e della sua voglia di allenare invece di riciclarsi come opinionista, contando sulla sua tuttora buona immagine. Proprio l'immagine nel momento della sconfitta gli si è ritorta contro, facendo dimenticare quattro anni di ottimo lavoro con l'Italia: finale all'Europeo, buon terzo posto in Confederations Cup, un progetto di calcio basato sul possesso palla e quindi inedito per la Nazionale. Inutile ripercorrere le tappe del fallimento in Brasile, partito dall'infortunio a Montolivo e da una serie di scelte del c.t. tutte sbagliate anche con il senno di prima (in particolare il ritiro-vacanza con le famiglie, che ha contribuito a spaccare lo spogliatoio): di certo Prandelli, pur costruendo monumenti a se stesso, mai ha sminuito il valore del calcio italiano e quindi anche dei suoi giocatori mettendo le mani avanti in caso di fallimento o aspirando al mito in caso di successo. Il metodo Conte, insomma, piagnisteo preventivo e nemici individuati dietro ogni cespuglio. Quella del Galatasaray, al di là dei soldi non ancora presi da lui e dai suoi collaboratori, è stata un'avventura invece partita con premesse sbagliate: Aysal, il presidente dell'epoca, aveva già messo sotto contratto Lucescu prima che l'allenatore rumeno fosse convinto a suon di dollari a rimanere a Donetsk. E così dopo l'addio a Mancini, che aveva fatto bene (ottavi in Champions) ma non ne poteva più di Istanbul e soprattutto di una rosa dove alcuni giocatori pretendevano di comandare, aveva bisogno di un altro allenatore con una immagine internazionale. E fra i disponibili nessuno era in questo senso meglio del c.t. appena dimessosi dall'Italia. Prandelli sapeva bene che stando fermo qualche mese sarebbe maturata una grande panchina (non poteva immaginare quella della Juventus, ma l'Inter senz'altro sì) italiana, ma ha voluto ributtarsi nella mischia con una squadra di livello medio e ha pagato risultati in linea con il valore della rosa, né più né meno. Il periodo di decompressione inizia adesso, quindi, con un rientro nel 2015 in una realtà che creda ad un progetto invece che a uomini della provvidenza. Twitter @StefanoOlivari

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