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Hamrin e gli stranieri di una volta

Redazione

20.11.2014 ( Aggiornata il 20.11.2014 10:55 )

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Le celebrazioni per gli 80 anni appena compiuti dal grande Kurt Hamrin suggeriscono un pensiero calcistico per il 2014 e non di generico rimpianto per un passato presunto meraviglioso (che peraltro non abbiamo vissuto, non avendolo mai visto giocare dal vivo): soltanto gli stranieri forti come l'ala destra svedese contribuiscono ad elevare il livello tecnico dei calciatori italiani, quasi tutti gli altri dominano nelle rose della serie A soltanto perché sono più convenienti o di minori pretese rispetto ad omologhi italiani, per non entrare in discorsi aziendali (tipo la creazione nero che i pagamenti estero su estero favoriscono). Scoperto da semi-dilettante dalla Juventus, Hamrin fu sacrificato sull'altare di Sivori e Charles e ceduto al Padova di Rocco, strutturato sul catenaccio e sui gol suoi e di Brighenti, che raggiunse un incredibile terzo posto. Poi i 9 anni alla Fiorentina, giocando bene ma mancando di poco le stagioni dei due scudetti viola, per finire ancora con Rocco, questa volta al Milan, vincendo tutto e chiudendo poi nel Napoli e in patria da quasi quarantenne. In mezzo a tutto questo lo storico secondo posto al Mondiale svedese, dietro al Brasile di Pelé e Garrincha, più tanti gol e riconoscimenti individuali: non stiamo insomma parlando di un genio incompreso. Tornando al punto, non è che gli stranieri di una volta (né quelli prima del blocco del 1966 né tantomeno quelli del periodo 1980-1996, prima della nefasta Bosman) fossero più forti o che i dirigenti fossero mediamente più intelligenti, ma il loro limitato numero costringeva i club a fare di tutto per non sbagliarli, cercando giocatori che facessero fare il salto di qualità (ognuno al suo livello) e non presunti affari o i prestiti gratuiti che oggi vanno tanto di moda senza che i giornali del paesello si chiedano come mai tutti questi fenomeni vengano regalati, se non sono almeno una cosa fra: 1) Rotti; 2) Finiti; 3) Tossicodipendenti; 4) Pregiudicati. Poi i bidoni non sono mai mancati, ma anche nei casi peggiori erano ingaggiati con lo spirito di provare il colpo e non di far girare soldi. Se si parla tranquillamente di uscire dall'euro come ipotesi percorribile, non si capisce perché il calcio dovrebbe subire l'ottusità dirigistica dell'Unione Europea senza far valere la mitica 'eccezione culturale' che in altri settori è ammessa. Twitter @StefanoOlivari

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