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Tavecchio vs. Albertini: il vecchio e il nuovo

Redazione

24.07.2014 ( Aggiornata il 24.07.2014 10:44 )

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Si avvicina inesorabilmente la data dell'11 agosto, quando si conoscerà il nome del nuovo presidente della Figc dopo le dimissioni di Abete. Dopo il “grande fronte” in appoggio a Tavecchio, presidente della Lnd, sostenuto ora oltre che da Macalli anche da Abodi e quindi dalla serie B, continua comunque la sua battaglia Demetrio Albertini, calciatore di successo (soprattutto con la maglia del Milan) e già vicepresidente federale. Il vecchio contro il nuovo potremmo dire, per mera questione anagrafica, ma anche il “basso” contro “l'alto”, nel senso che Tavecchio rappresenta per natura tutto quello che non è serie A, un movimento vasto e radicato sul territorio; Albertini ha più dimestichezza con il grande palcoscenico, ma naturalmente sarebbe in ogni caso il presidente “di tutti”, come si evince dai suoi programmi. “Due componenti, Dilettanti e Lega Pro, hanno il 51% e possono eleggere da sole il presidente ma non hanno la maggioranza in consiglio e non possono governare – ha detto l'ex milanista in un'intervista oggi alla Gazzetta dello Sport -. Io invece immagino due consigli di amministrazione, uno per l'area professionistica e uno per i dilettanti. L'obiettivo è superare l'attuale struttura e riformare i campionati: penso che una serie A a 18 squadre e una B a 20 sia una buona soluzione anche per una migliore sostenibilità finanziaria; continuiamo a perdere realtà importanti, in ultimo Padova e Siena. Inoltre porrei un tetto di 25 calciatori alle società di 10 con almeno 10 provenienti dai vivai, questo non vuol dire bloccare gli extracomunitari ma valorizzare i nostri calciatori e tornare a essere competitivi all'estero”. Problemi evidenti e sotto gli occhi di tutti ma anche per questo facilmente affrontabili, è infatti lapalissiano che la progressiva mancanza di competitività del calcio italiano all'estero sia riconducibile a un ritardo nello sviluppo di diverse componenti: strutture obsolete e in molti casi non aggiornate, bassa valorizzazione del “made in Italy”, campionati lunghi ed estenuanti. Oltre naturalmente a una crisi finanziaria che sta attanagliando anche le società di calcio, ma l'estero insegna che puntare su stadi di proprietà, merchandising e marketing porterebbe profitti extra che potrebbero contribuire al recupero della competitività. In questo senso il fronte pro-Tavecchio spinge chiaramente per una maggiore valorizzazione delle serie minori e quindi dei calciatori nostrani, anche se Tavecchio vedrebbe meglio una A addirittura a 16 squadre e una B a 18; ma Albertini vorrebbe introdurre una novità affascinante, che in Spagna viaggia a gonfie vele, ovvero la creazione delle squadre B militanti nelle categorie inferiori dove i grandi club farebbero crescere i propri giovani in un contesto più competitivo del campionato Primavera. Entrambi vorrebbero più stranieri ma mentre Tavecchio vorrebbe porre un tetto ai tesseramenti, Albertini come detto è più elastico. Orizzonti per certi versi simili ma affrontati con filosofie diverse. L'impressione, non fosse altro per l'appoggio numericamente superiore, è che Tavecchio sia in vantaggio, ma chiunque vincerà una cosa è certa: sono necessarie riforme importanti per dare una svolta a un campionato che perde, anno dopo anno, valore e interesse.

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