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Le cessioni dei Matarrese

Redazione

11.03.2014 ( Aggiornata il 11.03.2014 11:41 )

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Con il fallimento pilotato del Bari si chiude definitivamente, dopo 37 anni di regno, l'era dei Matarrese. Un periodo lunghissimo, in Italia come proprietari più o meno diretti secondo solo a quello degli Agnelli con la Juventus. In sostanza fallirà l'azienda, ma non la squadra, con buona pace dei creditori non privilegiati (cioè tutti tranne dipendenti e Fisco) e con prospettive per il futuro tutto sommato discrete: un Bari leggero e ripulito può interessare a molti, al di là del fatto che negli ultimi anni il 'brand' sia finito sulle pagine dei giornali più per scommesse e problemi con la giustizia sportiva che per imprese sul campo (l'ultima è stata la promozione in A del 2009 con Conte in panchina). Il Bari vivrà ancora, ma si separerà dai Matarrese con più di 20 anni di ritardo. Dopo le grandi ambizioni sbagliate dei primi anni Novanta, quando si vagheggiava di contendere al Napoli l'immagine di squadra che attirasse il tifo non campanilistico di tutto il Sud, i Matarrese (che citiamo come famiglia, anche se nel periodo migliore il Bari era presieduto da Vincenzo e la Federazione da Antonio) hanno gestito il club tenendo ben presenti i suoi limiti. Chi parla di mecenatismo dovrebbe ricordare le cifre pazzesche, anche rapportate a 'quel' calcio italiano, a cui furono ceduti Cassano alla Roma (60 miliardi di lire), Ventola all'Inter, Zambrotta alla Juventus, eccetera. In altre parole, in questi 37 anni il Bari ha avuto alti (12 campionati di serie A) e bassi, ma nel complesso i Matarrese non ci hanno perso. Né come costruttori, né come imprenditori in generale, né come politici (Antonio per 22 anni deputato democristiano, per 9 presidente della FIGC, più le presidenze di Lega e mille altri incarichi in periodi diversi): i 'Kennedy di Andria', come in ultima analisi tutti gli esseri umani, hanno fatto principalmente i propri interessi Di sicuro non hanno tirato fuori una lira per il San Nicola, monumento alle loro ambizioni pagato (insieme alla super-parcella di Renzo Piano) dai soldi a pioggia di Italia Novanta, che con la sua capienza di quasi 60mila spettatori è ancora oggi il quarto stadio più grande d'Italia. Una cattedrale nel deserto con il senno di poi ma anche con quello di prima, che ha avuto la sua serata di gloria con la finale di Coppa Campioni 1990-91, quella fra la Stella Rossa Belgrado di Savicevic, Mihajlovic, Prosinecki e Pancev e l'Olympique Marsiglia di Papin, Waddle e Abedi Pelé. Con i Matarrese non finisce il calcio, né a Bari né a maggior ragione in Italia, ma finisce parte di quel calcio ricco e un po' cialtrone in cui siamo cresciuti e che ancora oggi condiziona i nostri giudizi. Perché oggi Boban e Platt fatichiamo a vederli in squadre con ambizione europee, mentre a quei tempi era normale collocarli in una squadra da serie B.

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