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L’aziendalista Allegri

Redazione

14.01.2014 ( Aggiornata il 14.01.2014 11:02 )

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Adriano Galliani si sarebbe forse dimesso subito dopo l'esonero di Massimiliano Allegri da allenatore del Milan, se non ci fossero tuttora in ballo decine di milioni di euro fra liquidazione, buonuscita e indennizzo per così dire morale: dicendo 50 milioni stiamo bassi... È evidente che questa scelta, in anticipo (ma paradossalmente anche in ritardo, visto che la promessa fatta da Berlusconi a Seedorf risale al Natale 2012) sui tempi previsti, sia stata presa al 100% ad Arcore e solo accettata dall'uomo che dopo 27 anni di successi è con mossa stravagante diventato uno dei due amministratori delegati del Milan da amministratore unico che era. Il comunicato di Barbara Berlusconi poco dopo la sconfitta con il Sassuolo non ha solo definito la sorte di Allegri, comunque già segnata, ma ha marcato ulteriormente il territorio senza esporre più di tanto il padre. In attesa che entro pochi mesi Galliani passi ad altro incarico (una bufala Forza Italia, più credibile un ritorno alla presidenza di Lega o qualche incarico internazionale), inizia così l'era Seedorf  in attesa di innesti dirigenziali di spessore visto che non è pensabile che un club come il Milan abbia un amministratore delegato che sa quasi zero di calcio, uno delegittimato e nessun direttore sportivo. Il tutto con un allenatore con molto carisma personale ma privo di esperienza in panchina e troppo abituato ad avere a che fare con campioni invece che con mezze figure. Merita però l'onore delle armi Allegri, fin troppo aziendalista e pentitosi della corda tirata lo scorso giugno: con il senno di poi, rinunciando a qualche soldo, adesso sarebbe sulla panchina della Roma e avrebbe già lasciato da mesi a Seedorf il dispiacere di scoprire che Bonera non è Nesta e Constant non è Maldini. I suoi tre anni e mezzo sulla panchina rossonera si chiudono con un buon bilancio, che sarebbe potuto essere buonissimo. Senza esagerare con i 'se' da storia controfattuale, sarebbe bastata la convalida di quel famoso gol di Muntari alla Juventus per dargli due scudetti nei primi due anni di Milan. E con due scudetti di fila magari a Berlusconi sarebbe tornato quel po' di entusiasmo necessario (insieme ai soldi) per trattenere almeno uno fra Ibrahimovic e Thiago Silva. In quella Champions League che in casa Milan è sacra Allegri ha poi  fatto sempre il suo: ottavi (sfortunata eliminazione con il Tottenham) alla prima esperienza, quarti (eliminazione con l'ultimo Barcellona di Guardiola) alla seconda, ottavi (altra eliminazione con il Barcellona, con il palo di Niang al Camp Nou ancora nella testa…) alla terza e ottavi (unica squadra italiana qualificata) alla quarta. Nessun allenatore di squadre italiane ha nell'ultimo quadriennio fatto meglio. Questo non toglie che, guardando le partite oltre che la classifica, sia apparso evidente che Allegri in questa stagione abbia fatto molto, anzi moltissimo, meno di quanto fosse nelle potenzialità della rosa. Di certo merita un'altra grande chance, magari in una squadra che non viva un momento di transizione e dove non debba assumersi colpe di operazioni sbagliate (su tutte il mancato rinnovo di Pirlo nel 2011) o mettere la faccia su pensionamenti forzati.

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