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Redazione

07.01.2014 ( Aggiornata il 07.01.2014 12:42 )

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Fu una giornata memorabile, toccante, mentre su Lisbona batteva un bellissimo sole di giugno. Intervistare una leggenda del calcio come Eusebio è un privilegio che può regalarti solo il Guerin Sportivo, per il quale ero lì a seguire gli Europei del 2004. L’uomo che quel giorno mi trovai di fronte, in un tranquillo ristorante di Lisbona dove pranzava ogni giorno, era nato il 25 gennaio 1942 a Marques, capitale del Mozambico. Era il mito per tutti i portoghesi, in una devozione celebrata senza isterie. Nato povero e orfano di padre a otto anni, senza un futuro o una prospettiva davanti a sé più ampia della sopravvivenza, aveva ribaltato la sua vita grazie a un talento immenso. Nel 1962, a vent’anni e appena pochi mesi dopo essere approdato al Benfica, aveva distrutto  il grande Real Madrid di Puskas nella finale di Coppa dei Campioni. Si aggiunsero poi 11 scudetti di Portogallo, 5 Coppe nazionali, 1 Pallone d’oro (1965), 2 Scarpe d’oro e altro ancora. Chi lo ha visto giocare, lo ricorda come un attaccante immarcabile, potente e velocissimo, un Ronaldo senza infortuni. Infatti giocò e segno tantissimo per tutta la carriera: 585 reti in 571 partite totali. Le più importanti rimangono le quattro segnate alla Corea del Nord in un’unica partita, il 23 luglio 1966 a Liverpool, durante i Mondiali. La differenza tra noi italiani, rimandati a casa dai coreani, e il Portogallo, finito inizialmente sotto 3-0, fu lui, la Pantera Nera. Ecco: quel giorno a Lisbona rimaneva poco dell’atleta, con un fisico ovviamente appesantito dagli anni e dalla buona tavola. Ma rimaneva intatta l’umanità del personaggio. Ancora meglio: la sua semplicità. Eusebio era un uomo umile, educatissimo, che portava avanti con pudore - in mezzo a qualche timorato sorriso - la doppia sfera di divinità e di uomo senza sovrastrutture. Mi raccontò parecchie cose: parlò di Pelé, di Maradona, del connazionale Figo, sino ai portoghesi di quella stagione, in cui iniziava a mettersi in mostra Cristiano Ronaldo. Curioso: oggi che scompare il primo portoghese a vincere un Pallone d'oro, un altro potrebbe simbolicamente succedergli. Mentre il fotografo Paolo Nucci continuava a scattare e prima di firmare un ultimo autografo per i lettori del Guerino, che gelosamente conservo, mi lasciò con una notizia epocale: «Lo sa che nel 1966 ero già un giocatore dell’Inter? Avevo firmato con Italo Allodi e avevo fatto una visita a Milano. Ad agosto sarei venuto a giocare in Serie A. Ero stato alla Pinetina e a scegliere una casa a Milano». Non arrivò mai per via della disfatta contro la Corea, che spinse la Federazione a chiudere le frontiere. Ed Eusebio rimase a vivere nella sua Lisbona, dove si è spento al termine di una vita felice e misurata. Come erano i suoi occhi scuri scuri. Persino José Mourinho si è commosso: «Eusebio resta immortale». @matteomarani

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