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Redazione

10.04.2013 ( Aggiornata il 10.04.2013 10:51 )

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Il Roma-Lazio di lunedì scorso potrebbe essere ricordato come l'ultimo derby della Capitale ad essere giocato di sera, anche se a onor del vero la stessa cosa si era detta anche negli anni scorsi. Dal prefetto Pecoraro all'ultimo poliziotto in servizio all'Olimpico e dintorni tutti d'accordo, pensando anche alla possibile finale tutta romana di Coppa Italia. Un po' meno d'accordo Sky e Mediaset Premium, con le decine di milioni che ogni anno passano a Roma e Lazio, oltre che RaiSport che la finale di Coppa Italia gradirebbe trasmetterla di sera. Mentre il tifo è diviso, fra chi rimpiange i bei tempi andati delle partite tutte alle 14 e 30 e chi vorrebbe spalmate le 10 gare di serie A in 10 orari diversi. Gli accoltellamenti di lunedì sera a Ponte Milvio ma non solo, complici il buio (non in tutti i casi, visto che certi episodi sono avvenuti con il chiaro) e la confusione, possono generare il solito articolo contro gli ultras del calcio e il calcio in generale, con magari a supporto l'editoriale cialtrone sullo stadio di proprietà, gli steward, eccetera, quando quasi tutto il peggio è avvenuto e avviene nei dintorni degli stadi. Diamolo per fatto, questo articolo, passando all'unicità della situazione romana. Rispetto ad altre grandi città, ma anche a centri di provincia, Roma ha una peculiarità: una parte notevole (almeno un terzo) dei suoi ultras non è inquadrata in organizzazioni, club o sigle particolari. Si tratta, in altre parole, di cani sciolti: piccole bande incontrollabili e che operano in maniera del tutto indipendente fra di loro. Situazione che rende difficili i controlli preventivi, magari agendo sui capi delle curve: secondo le forze dell'ordine ma anche secondo la realtà i leader delle curve romane controllano solo una parte del tifo. E' vero che qualcuno aveva annunciato le sue prodezze su Facebook, ma è anche vero che non si può andare dietro ad ogni mitomane o, per citare Lotito, mettere un carabiniere accanto a ogni tifoso. Più classificabile la curva laziale, più fluida la situazione in quella romanista, una cosa è certa a Roma come a Napoli o a Milano: questi accoltellatori (o 'puncicatori' che dir si voglia) sono sì tifosi, quindi non vale la scusante del tipo 'gente che nulla ha a che fare con il calcio', ma non hanno bisogno di un pretesto calcistico per fare danni. Insomma, nessun rigore dubbio e nessun gol in fuorigioco. Tanto meno giornalisti che non 'abbassano i toni', come si sente dire a volte. La cosa che ci ha maggiormente colpito, tutte le volte in cui abbiamo parlato con ultrà duri e puri, è proprio questa: sono fissati con episodi e scontri del recente passato, presunte 'infamie' dei rivali (la peggiore è parlare con polizia o stampa, come si è visto anche da certi striscioni nell'ultimo derby milanese), qualcuno anche con imprecisati e imprecisabili codici d'onore. Nessuno, ma proprio nessuno, che usa gli argomenti del tifoso in canottiera e telecomando: il complotto, gli arbitri, il calciomercato, eccetera. Bisogna guardare in faccia la realtà, che è quella di una violenza senza causa e quindi senza possibilità di essere prevista. Non è un mistero che ogni ministro dell'Interno, al di là delle differenti posizioni politiche, dopo un periodo di ambientamento ha sempre attuato la stessa politica: lavorare (senza dirlo in conferenza stampa, ovvio), perché gli ultras si compattino, invece che per sciogliere i loro club. E nel frattempo distribuire Daspo a raffica, in maniera di sicuro non garantista e spesso pescando a caso nel mucchio. Conclusione: risparmiamoci la retorica sul disagio delle periferie, ma impariamo a considerare questi incidenti un sottoprodotto inevitabile della società di oggi. C'è una parte di proletariato ormai marcia e disillusa, che si chiama fuori da ogni regola e si salda con una parte di borghesia livorosa e manesca. Una realtà che non è stata creata da Pallotta e Lotito. Twitter @StefanoOlivari

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