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Il discorso del Reja

Redazione

18.05.2012 ( Aggiornata il 18.05.2012 15:04 )

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Edy Reja sarebbe l'argomento meno indicato per il marketing web, che suggerirebbe di parlare del Conte allenatore del Siena (lo faremo, se ci saranno sviluppi), del mal di pancia di Ibrahimovic (lo faremo, perché gli sviluppi ci saranno di sicuro) o dell'ultimo ripensamento di Moratti (lo faremo, qui lo sviluppo è continuo). Però adesso che lui stesso ha scritto la parola fine alla sua storia con la Lazio l'epoca di Reja merita un commento che vada al di là della giusta scelta di scendere dalla giostra di un signore di 67 anni. Non è esattamente come il ritiro di Stoner dalla MotGP, perché non è un ritiro dal calcio ma solo dalla Lazio, ma è comunque una notizia. Può essere utile ricordare come sia iniziato il rapporto fra Lotito e Reja: a inizio 2010, con una Lazio (ai tempi in mano a Ballardini) che aveva preso una china negativissima sia come risultati che come atteggiamento al punto che a metà campionato la retrocessione non sembrava uno scenario inverosimile. Reja arriva dall'Hajduk Spalato e lavora da subito alla Reja, secondo principi che fin dai tempi di mestierante nelle 'minors' del Triveneto sono rimasti uguali: nessun proclama da fenomeno, cambi di modulo in funzione delle possibilità e dell'avversario, scelta di un gruppo di fedelissimi ben preciso e aziendalismo intelligente. Risultato: salvezza ottenuta a una giornata dalla fine. I due campionati interi sulla panchina della Lazio, con un calciomercato non certo da Abramovich, si sono poi tradotti in due qualificazioni per l'Europa League, con la Champions sfuggita di poco e sempre per un calo fisico nelle ultime giornate. In entrambi i casi, una volta per differenza reti e quest'anno per due punti, a beneficiarne è stata l'Udinese di Guidolin, da Reja preso amichevolmente in giro quando si lamenta dello stress di Udine. Stress a Udine? Si vede che non ha mai fatto l'allenatore a Roma... Per molti versi Reja è stato il tecnico ideale di Lotito: relativamente low cost (sui 500mila euro lordi l'anno), senza richieste particolari se non dopo le partenze a gennaio di Sculli e del fuoco di paglia Cissé, impermeabile (o quasi) alle tensioni di una piazza memore dei successi del recente passato (sia pure con soldi finti, come poi si è scoperto, ma andatelo a dire a un tifoso laziale che Lotito è meglio di Cragnotti...). Poi qualche promessa non mantenuta da Lotito e Tare, soprattutto per i rinforzi in attacco, e voci sui successori a getto continuo (Zola, Casiraghi, Simone Inzaghi, De Canio, solo per citare quelle più credibili, mentre adesso è scontato fare il nome di Di Matteo) hanno incrinato i suoi rapporti con la società ben prima delle famose dimissioni presentate e ritirate a poche ore dalla partita con l'Atletico Madrid. Il resto lo hanno fatto gli infortuni e gli insulti di una parte della tifoseria, insulti del genere 'vecchio da buttare'. Il vecchio Reja, specialista in promozioni e in concretezza, ha vinto i derby ed ha sfiorato la Champions League con una squadra che soprattutto negli ultimi mesi ha avuto giocatori di un livello medio da decimo posto. Adesso il problema è tutto di Lotito, che dovrà scegliere quindi il quinto allenatore della sua gestione dopo Caso, Papadopulo, Delio Rossi e Ballardini. Gli unici che gli hanno scaldato il cuore sono stati Rossi e, appunto, Reja. Due caratteri non facili, proprio come il suo. Ma soprattutto due abituati a lavorare con quello che c'è a disposizione, al di là delle differenze tattiche. E' quindi difficile che il nuovo allenatore della Lazio sia un emergente, di quelli bravi soprattutto a indossare la giacca giusta: avrebbe tutto da perdere. Stefano Olivari, 18 maggio 2012

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