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Dopo le lacrime, più controlli sui giovani calciatori

Redazione

17.04.2012 ( Aggiornata il 17.04.2012 14:26 )

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Il percorso che porterà a capire le cause che hanno determinato la morte di Piermario Morosini è ancora lungo. Chi ha amato e continuerà a portare nel cuore questo ragazzo, attende fiducioso. Merita risposte certe, le avrà. Ma da questa tragedia occorre anche partire, e magari provare a farlo in fretta (non come accade spesso in Italia, dove le lacrime, il cordoglio e le parole quasi mai sono seguiti da azioni concrete), per rivedere gli ormai superati protocolli medici che tuttora regolano l'attività dei giovani calciatori dilettanti. Indipendentemente da quello che emergerà su Morosini. Il fatto è che oggi i nostri figli, fino all'età di 12 anni, giocano a calcio ancora grazie al cosiddetto "certificato di sana e robusta costituzione" rilasciato dai pediatri di famiglia e rinnovato di anno in anno. Professionisti seri, intendiamoci, di certo consapevoli delle condizioni dei loro piccoli pazienti. Ma i tanti (troppi) episodi archiviati come "tragica fatalità" e trattati in modo sbrigativo dalla stessa stampa (il campione fa notizia, molto meno il ragazzino che si accascia privo di vita su un qualunque campetto di periferia), invitano a rivedere questa procedura. Anche alla luce delle più moderne e sofisticate tecnologie che hanno migliorato la diagnostica. Specie nel campo della cardiologia. «Il cuore di un giocatore non cambia in base alla maglia che indossa o alla categoria che frequenta»: il dottor Mario Brozzi, ex medico sociale della Roma, ha fatto da diversi anni di questa frase lo slogan della sua battaglia. Che punta a uniformare la tutela sanitaria dei calciatori, ponendo i dilettanti sullo stesso livello dei professionisti. Mi capitò di sentirlo qualche tempo fa durante un convegno organizzato a Chianciano Terme dal Settore Giovanile e Scolastico della Figc. E il suo accorato appello fece venire i brividi a tutti i presenti. Un allarmismo fondato su elementi concreti, non semplici parole. Brozzi, grazie a un accordo fra il Comune di Roma e l'Istituto di Medicina dello Sport di "Villa Stuart", aveva monitorato attraverso un protocollo più approfondito tutti i ragazzi del settore giovanile della Roma (oltre 400) per poi passare ai tesserati delle società affiliate al club giallorosso. Giovani che i soliti controlli di routine avevano già dichiarato "abili" alla pratica calcistica. Ebbene, grazie a quegli ulteriori accertamenti, lo staff di Brozzi rilevò una dozzina di gravi patologie cardiache, fino ad allora rimaste nascoste, di cui una richiese il ricovero d'urgenza e l'immediato intervento chirurgico. Dall'esito per fortuna positivo. Una vita salvata. Da qui l'idea di Brozzi di prevedere una visita d'ingresso molto più curata fin dall'inizio dell'attività dei bambini, con anamnesi familiare, individuazione e correzione dei dis-paramorfismi (piede piatto, scoliosi, ginocchio varo-valgico) e l'effettuazione di un ecocardiocolordoppler, strumento indispensabile per l'individuazione delle più gravi cardiopatie. «Tutti i bambini come Totti» predica il dottor Brozzi. Ovvero tutti visitati con la stessa meticolosità riservata ai calciatori professionisti. Purtroppo la vicenda di Morosini ci dice che, nonostante i controlli accurati, la complessa macchina umana può accusare cedimenti imponderabili. Ma intanto vanno prese tutte le precauzioni possibili. Una prevenzione costosa, si dice. Ma la vita non ha prezzo. E stipulando opportune convenzioni e assicurazioni, si riesce comunque a contenere l'esborso in qualche decina di euro. Ne vale la pena. Se ne dovrebbero rendere conto soprattutto quei genitori che spesso vedono nel banale certificato da consegnare alla società sportiva una "fastidiosa" formalità. «Per il certificato poi ripasso. Sa, non trovo mai il tempo di andare dal pediatra» è la frase che i dirigenti si sentono ripetere dalle famiglie fino alla noia. Per non parlare dei maldestri tentativi di riciclare il certificato dell'anno prima "sbianchettando" la data. Assurdo? Eppure… Gianluca Grassi

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